Il colore della pelle non fa gli italiani, ce lo dice anche la scienza!!! 

Ai Campionati Europei di Atletica Leggera in corso in questi giorni a Roma, tanti atleti del team italiano sono neri e ancora tanti sono i commenti d’odio nei loro confronti per il solo fatto di avere la pelle di un colore diverso. 

Sui social, ci sono persone che affermano di “sopportare” il fatto che siano neri solo perché vincono, altre, invece, sostengono che a loro non importa nulla che siano vincenti, sono neri e non possono essere italiani.

A questo proposito vale la pena ricordare anche i numerosissimi episodi di razzismo nello sport cui abbiamo assistito negli ultimi anni: dagli ululati contro Boateng prima e Koulibaly poi, alle banane lanciate ad Aubameyang, dalle aggressioni fisiche e verbali alle atlete nere dell’atletica leggera, ai commenti sulla pallavolista Paola Egonu, della quale si è scritto che “pur essendo italiana, non ha i tratti somatici dell’Italianità”.

Ormai  “Il sessismo, l’abilismo, la xenofobia, l’antiziganismo, l’antisemitismo, l’islamofobia e il razzismo nello sport sono tutt’altro che fenomeni straordinari: coinvolgono trasversalmente lo sport professionistico e quello di base, le diverse discipline sportive, i campi, gli spalti, gli spogliatoi, i giocatori e i tifosi, gli arbitri e i dirigenti sportivi, gli stadi che ospitano le competizioni agonistiche più prestigiose e più seguite dal grande pubblico e i tornei sportivi territoriali meno noti.

Questo si legge nel Rapporto Pilota “Le discriminazioni nel mondo dello Sport” a cura dell’Osservatorio Nazionale contro le Discriminazioni nello Sport Mauro Valeri promosso da UNAR – Ufficio Nazionale contro le Discriminazioni  Razziali in collaborazione con Lunaria APS e UISP APS – Unione Italiana  Sport per Tutti. 

In questo rapporto è stato effettuato un monitoraggio sugli episodi di discriminazione nello sport dal 1° giugno 2021 al 30 giugno 2022 ed è stato evidenziato che le  violenze fisiche e verbali più gravi sono la punta di un iceberg che  nasconde pregiudizi, stereotipi, stigmatizzazioni e discriminazioni meno  espliciti, spesso non riconosciuti come tali, oppure considerati  “normali”, sminuiti e banalizzati.

Le diverse forme di  discriminazione – si legge nel rapporto – attraversano il mondo dello  sport ma il nostro paese tende a rimuoverne le caratteristiche  strutturali parlandone prevalentemente quando sono coinvolti atlete e  atleti dei livelli sportivi più alti e, in particolare, coloro che  praticano lo sport più diffuso e popolare: il calcio.”

Tra il 1° giugno 2021 e il 30 giugno 2022, l’Osservatorio ha documentato in totale 211 casi di discriminazione. Nel complesso, la gran parte dei  casi è costituito da violenze verbali (86,3%), mentre le violenze  fisiche (0,9%) sono residuali e risultano del tutto assenti danni a cose  o a beni di proprietà. In media, su 13 mesi, sono stati documentati in  ambito sportivo 16 casi di discriminazione al mese.
La distribuzione dei casi documentati per movente mostra una prevalenza  delle discriminazioni compiute facendo riferimento alle origini  nazionali o “etniche” (40,3%) o ai tratti somatici delle vittime  (37,9%). 
L’analisi della distribuzione regionale mostra una  concentrazione (pari al 52,5%) in quattro regioni: Lombardia (16,1%),  Lazio (15,6%), Veneto (10,9%) e Campania (9,6%).

I dati, dunque, ci dicono che gli italiani hanno atteggiamenti fortemente discriminatori in ambito sportivo. 

Ma si può parlare di razzismo? 

Sulla base dei soli dati è difficile, perché il razzismo è qualcosa di ben più complesso, diffuso e sproporzionato di un fenomeno misurabile e osservabile con i semplici numeri.

Infatti, i dati ufficiali sugli episodi di razzismo quotidiano si compongono solo di quei casi che vengono segnalati e denunciati alle autorità competenti mentre la maggior parte rimane nascosta, sia perché chi subisce la discriminazione rimane in silenzio sia perché i testimoni non collaborano né denunciano.

Possiamo, però, farci un’idea della situazione generale del razzismo in Italia facendo riferimento all’attività di numerose associazioni impegnate a combattere il fenomeno su tutto il territorio nazionale. 

Una di queste è  Lunaria APS, nel 2009, ha pubblicato il  libro bianco sul razzismo in Italia e ad oggi ne ha pubblicati 5, l’ultimo relativo al periodo 2008 – 2020, in cui sono stati documentati, tra il 1° gennaio 2008 e il 31 marzo 2020,  7.426 episodi di razzismo quotidiano, violenze verbali e/o fisiche che avvengono nei luoghi più comuni, dalle scuole ai parchi, dagli autobus ai supermercati, senza dimenticare gli spazi web e i social media.

A partire dal 2011, poi, Lunaria ha aperto anche il sito cronachediordinariorazzismo.org con lo scopo di raccontare , giorno dopo giorno, le storie delle persone discriminate e vittime di violenze basate sulla razza, sull’etnia, sul colore della pelle. Raccontare storie e persone non numeri,quindi, con l’intento “di ricordare che la xenofobia e il razzismo, lungi dall’essere fenomeni straordinari e estemporanei, imputabili a individui solitari, sono radicati nel nostro paese da molto tempo e fanno parte di un contesto, sono cioè fenomeni sociali, strutturali, ordinari e sistemici, in cui giocano un ruolo centrale gli attori collettivi: le istituzioni, i partiti e gli operatori dei media, innanzitutto.”[ citazione dal sito] 

Un archivio della memoria, dunque, mentre per i dati statistici si può fare riferimenti ai siti dell’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali e dell’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori – OSCAD

Ma torniamo alla nostra domanda: gli italiani sono razzisti?

Non è nostra intenzione generalizzare ma quello che è certo è che un gran numero di italiani sono caduti in un vortice di regressione culturale e sociale. 

Dopo la crisi economica del 2008, infatti, l’Italia, impoverita dalle fughe in  avanti servite nei decenni passati a dare corpo al miracolo economico e ad una potenza economica a livello mondiale, si è ritrovata in un contesto in cui la popolazione, vittima  di aspettative decrescenti, diseguaglianze sociali, paura di scendere nella  scala sociale, ha costruito una società del rancore,  frammentata, debole, chiusa e regressiva, vittima dei pregiudizi  e degli stereotipi, incapace di accettare gli altri, soprattutto se diversi.

Questa considerazione nasce da una base statistica molto chiara, frutto della ricerca “Miti del rancore, miti per la crescita: verso un immaginario collettivo per lo sviluppo” curata dal CENSISnel 2018.

Nella ricerca emerge che 7 italiani su 10 nel 2018 sono contrari al matrimonio con una persona più vecchia di almeno vent’anni o dello stesso sesso, oltre che a quello con persone di differente religione, in particolare islamica. 4 su 10, poi, non vedono di buon occhio l’unione con immigrati, asiatici o africani.

Il 95% degli italiani, poi, è convinto che nel 2018 per fare strada nella vita non occorra il titolo di studio o l’esperienza bensì conoscere le persone giuste, oppure provenire da una famiglia agiata (88%, diversamente da tedeschi, 61%; inglesi, 54%; francesi, 44%; svedesi, 38%) o avere fortuna (93% rispetto all’89% dei tedeschi, 77% dei francesi, 69% degli svedesi e 62% degli inglesi).

E ancora, emerge che nel 2018 i millennials danno un rilievo maggiore a social e smartphone, e che questa centralità dei nuovi device Ict è ancora più alta per i più giovani di età 18-29 anni, i quali sono portatori di una rottura ancora maggiore perché hanno un’attenzione inferiore per miti decisivi delle generazioni precedenti, come il posto fisso o la proprietà della casa. 

Praticamente, la ricerca ci consegna una quadro in cui si affermail dominio pieno della soggettività anche nelle sue forme più patologiche e narcisistiche.

Eppure, l’Italia non è stata mai un paese individualista e non accogliente, tutt’altro!

Il nostro Paese è stato e continua a essere un crocevia di spostamenti e migrazioni che ha favorito il contatto tra i popoli. E questo, a sua volta, ha plasmato anche il nostro patrimonio genetico, com’è confermato dallo studio “Population structure of modern-day Italians reveals patterns of ancient and archaic ancestries in Southern Europe [La struttura della popolazione degli italiani moderni rivela modelli di ascendenze antiche e arcaiche nell’Europa meridionale]”, il più grande studio di genetica della popolazione italiana, recentemente pubblicato su Science Advances, che ne analizza in maniera sistematica la distribuzione della variazione genetica, e ne rivela l’incredibile eterogeneità. 

Dunque, concludendo, lasciamo perdere una volta per tutte lo stereotipo dell’italianità e torniamo ad essere le persone che siamo anche in virtù della nostra genetica, un popolo accogliente e in continua evoluzione!

Elvira Santaniello
President Move2Europe APS  – Social Promotion Organization

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