Il servilismo in politica

A differenza della Prima Repubblica, dove i politici militanti in partiti democratici avevano una autonomia di giudizio, fatte le dovute eccezioni,  nel giudicare criticamente anche i comportamenti dei rispettivi vertici, nella Seconda Repubblica, invece, è raro vedere un politico che dissenta dal proprio capo.  Questa posizione, diremmo di vassallaggio, è favorita dai sistemi elettorali introdotti dopo “Mani Pulite”, la vicenda giudiziaria che ha scompaginato tutti i partiti della prima Repubblica.
Con l’introduzione del Mattarellum, nel 1994, i politici fedeli ai rispettivi capi avevano il privilegio di essere candidati i collegi blindati, cioè di sicura elezione; con l’introduzione poi del Porcellum,  voluta da Berlusconi nelle elezioni del 2006, vinte da Romano Prodi, i politici erano ancora di più assoggettati ai propri capi, poiché da questi ultimi dipendeva la loro candidatura in posizione  di eleggibilità; con il Rosatellum, con cui si è votato nel 2018, è cambiato qualcosa perché non prevede il premio di maggioranza che il  Porcellum riservava alla coalizione che, invece, otteneva il maggior numero di voti, indipendentemente dalla percentuale conseguita, un aspetto quest’ultimo che aveva fatto ritenere incostituzionale la legge che ha eletto tre legislature, nel corso delle quali sono stati eletti tre Presidenti della Repubblica. Ma comunque  il Rosatellum prevede liste bloccate, che impediscono agli elettorali di scegliere i candidati da eleggere, esattamente come avveniva nel Porcellum, i cui collegi, cosa irrilevante, erano più ampi rispetto a quelli previsti dal Rosatellum.
A differenza dei sistemi elettorali previsti per le elezioni comunali, regionali ed europee, nei quali è previsto il diritto degli elettori di esprimere, recentemente anche con l’alternanza di genere, la preferenza per scegliere i propri eletti, per la elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica , invece, i leader politici, interessati ad avere degli eletti ed essi fedeli, hanno orientato, per usare un eufemismo, i propri gruppi presenti nelle due Camere, a votare a favore del Porcellum, prima, e del Rosatellum, poi. Ma non vi sono riusciti, poiché, complice la caduta delle ideologie, voluta dai media, i cambi di casacca, in vigenza di questi due sistemi elettorali, ma in parte anche del Mattarellum, hanno raggiunto cifre incontrollabili.
Ovviamente, l’istituzionalizzazione  di questa forma di fedeltà al capo nella elezione del Parlamento Italiano discende anche dagli assetti organizzativi di partiti e formazioni politiche: chi vuole fare carriera politica deve essere fedele al capo, se non si vuole correre il rischio di essere emarginato o di andar via.
Questo criterio veniva applicato in maniera abbastanza rigorosa nel Pd, quando Matteo Renzi ne era il segretario nazionale. Fece sostituire, nella commissione affari costituzionali della Camera, dieci deputati, Bersani compreso, poiché non erano del tutto favorevoli alla sua impostazione dell’Italicum, una legge elettorale che, voluta da lui, è stata poi relegata in soffitta perché giudicata, per alcuni versi, incostituzionale dalla Consulta, dopo aver avuto un risicato voto favorevole, solo al Senato e non alla Camera dove la maggioranza, grazie appunto al premio riservato dal Porcellum, era alquanto rassicurante.
Attorniatosi, in segreteria, di persone a lui fedeli e non leali, Renzi ha dimissionato da sindaco di Roma Ignazio Marino, dopo due anni che il noto chirurgo era stato eletto con il 64% dei voti. Lo ha fatto perché Marino, oltre a non aver fatto riparare le strade dalle buche, era stato attenzionato dalla Magistratura per una storia di fatture legate a della cene, storia risoltasi poi con una assoluzione in secondo grado.  Ma la ragione vera del dimissionamento era quella secondo cui il sindaco, benché non in contrasto con la maggioranza del Partito, non era la persona cui Renzi, data l’autorevolezza del chirurgo, poteva impartire ordini, come invece era solito comportarsi nei confronti dei componenti la sua segreteria e, per alcuni versi, del governo.
Per colpa sua, la sempre rossa Liguria è governata per la seconda volta da un Giovanni Toti, più leghista che berlusconiano, perché lui, nel 2015, aveva spaccato il Partito per imporre una sua candidata. Ha favorito, potremmo dire,la scissione dei D’Alema, dei Bersani e degli Speranza, poiché, per la loro autorevolezza, non erano persone cui egli poteva impartire ordini. L’elenco  del suo assolutismo potrebbe continuare, ma ci limitiamo solo a rilevare che molti post diessini, per non essere emarginarti, erano opportunisticamente diventati renziani, salvo poi a riscattarsi quando il partito ha cambiato registro.
Ora, prima con Zingaretti, poi con Letta, il Pd è ritornato ad essere un presidio di democrazia, anche se il virus della fedeltà al capo, dominante  in forma endemica in altre formazioni politiche con l’avvento della Seconda Repubblica, non è stato del tutto debellato nelle emanazioni periferiche del Partito Democratico.
Per la elezione del segretario regionale del Pd in Campania, nelle primarie del 3 marzo 2019, il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, candida Leo Annunziata, contrapposto al deputato Umberto Del Basso De Caro.  A parte Armida Filippelli, candidata a segretaria regionale per la mozione Zingaretti, sia Del Basso De Caro che Vincenzo De Luca sono allora sostenitori della mozione di Maurizio Martina, ricandidato a segretario nazionale del partito,  nelle primarie svoltesi nello stesso giorno. Buon senso avrebbe voluto che Vincenzo De Luca avesse sostenuto Del Basso De Caro, come segretario regionale. Invece no. Vincenzo De Luca candida, come dicevamo, collegato pure alla mozione di  Martina,  Leo Annunziata, allora sindaco di Poggiomarino, che sarà poi nel febbraio 2020 dimissionato dai suoi stessi sostenitori,  perché evidentemente Del Basso De Caro, data la sua statura di deputato, già sottosegretario alle Infrastrutture, non è un  suo fedelissimo, un uomo di paglia cui impartire ordini.  Lo strano, poi,  è che la proclamazione del segretario regionale, nella persona di Leo Annunziata, avviene diversi giorni dopo lo svolgimento delle primarie. 
Vincenzo De Luca, in occasione della sua visita all’hub di Ponte Valentino il 5 luglio scorso, stimolato da qualche giornalista a pronunciarsi sulla situazione beneventana, risponde di volersi tenere lontano dalla “iacovella” locale.
Però, il 15 luglio, è Leo Annunziata ad intromettersi nella iacovella beneventana, nel tentativo di violare l’autonomia decisionale, prevista dallo statuto, con cui la maggioranza della federazione del Pd sannita ha scelto di porsi in alternativa a Mastella, il sindaco che, dopo la rielezione a presidente della Regione di Vincenzo De Luca, cui si era collegato sei mesi prima del voto, abbandonando, lui e la moglie, Forza Italia, aveva proposto, al rieletto presidente, l’estensione, nei quattro capoluoghi campani chiamati al voto il prossimo ottobre, il  modello di alleanze risultato vincente alle elezioni regionali. 
Il modello, fatto proprio dal governatore della Regione, viene imposto a Benevento prima dal neo deputato Piero De Luca, figlio di Vincenzo, e poi, a più riprese,  da Leo Annunziata, nel tentativo di far schierare il Pd Sannita, roba da pazzi, in sostegno della ricandidatura di Mastella.
Nel tentativo, vano, di portare a termine questa operazione, la sponda veniva e viene offerta da tre consiglieri comunali degeneri del Pd: Francesco De Pierro, Cosimo Lepore e Raffaele Del Vecchio, divenuti sostenitori di Mastella, garantendo,  nelle sedute consiliari, il numero legale, da quando il sindaco non dispone più di una sua solida maggioranza. 

L’ipocrisia e la miopia politica dei tre consiglieri Pd alleati di Mastella. La reazione della senatrice Ricciardi
Nel documento diffuso al termine dell’incontro di Annunziata con i tre consiglieri nella sala giunta di Palazzo Mosti, incontro salutato dal sindaco, evidentemente con i buoni auspici,  Francesco De Pierro, Cosimo Lepore e Raffaele Del Vecchio fanno sapere – udite, udite –   che  “compito principale del Pd è concorrere alla composizione di una coalizione di centrosinistra che impedisca la vittoria delle forze sovraniste”. Che di ciò sia convinto Annunziata, che dall’angolo del suo angusto sguardo sulla regione non conosce la situazione beneventana, non preoccupa più di tanto, ma che siano i tre consiglieri a parlare di pericolo sovranista è da ipocriti, perché, come giustamente ha osservato “Il Vaglio”, i sovranisti di Benevento (Lega e Fratelli d’Italia) “hanno le pezze sulla fronte”, in quanto non riescono ad esprimere  un candidato sindaco che sia accettato da Forza Italia. Addirittura, i tre consiglieri sostengono che, in funzione della realizzazione del loro disegno, sarà posto in essere “ogni sforzo affinché tale coalizione possa essere integrata dal Movimento Cinque Stelle”, un passaggio,  questo, che, giustamente,  ha scatenato la reazione la senatrice pentastellata Sabrina Ricciardi, reazione  espressa  con la seguente nota:  “La sortita del segretario regionale del Pd a Benevento non ha nulla a che vedere con il M5S e non vedo alcuna ragione plausibile per tirarci in mezzo. E’ evidente che Annunziata non possa certo dare suggerimenti o dettare la linea al M5S, considerato che non è in grado di dettarla neppure al suo partito, che lo ha sconfessato sia tramite il capogruppo in Regione Campania, sia attraverso il consigliere regionale eletto sul territorio, sia mediante la dirigenza locale, che un attimo dopo le sue cervellotiche dichiarazioni, ha fatto affiggere dei manifesti in città con tanto di simbolo ufficiale che confermavano il sostegno a Perifano. Inoltre, se davvero Annunziata tiene così tanto a replicare lo schema dell’alleanza messo in campo alle regionali, dovrebbe ricordarsi che il M5S non ha fatto parte di quella coalizione e si è presentato da solo con un proprio candidato presidente. Abbiamo sempre sostenuto che per noi l’unico dato rilevante è quello nazionale, ed è unicamente in quella direzione che stiamo lavorando. Sono mesi che insieme al Pd locale e ad altre forze civiche stiamo predisponendo un innovativo e serio programma di rilancio della città, nel tentativo di costruire un’alternativa credibile a questa maggioranza. E il fatto che oggi, i tre candidati sindaco che nel 2016 si erano opposti a Mastella, siano rimasti folgorati sulla via di Ceppaloni, per noi rappresenta un motivo in più per restare presidio a difesa di quei cittadini che anelano ad un cambiamento. Il M5S sarà voce, appiglio e speranza per tutti coloro che non si sentono rappresentati da questa amministrazione”. 

Luigi Perifano è fiero dell’adesione ufficiale del M5S a Alternativa per Benevento, la coalizione da lui guidata
Il Movimento Cinque Stelle ha infatti ufficializzato la sua adesione a Alternative per Benevento, con un comunicato in cui i deputati Angela Ianaro e Pasquale Maglione, unitamente alle senatrici Sabrina Ricciardi e Danila De Lucia, affermano: “Il Movimento 5 Stelle, guidato da Giuseppe Conte, coerentemente con quanto costruito in questi mesi, è pronto a sostenere la candidatura di Luigi Diego Perifano a Sindaco di Benevento. Un percorso di condivisione, costruito in sinergia con le altre forze politiche e civiche della coalizione che in questi mesi ha visto il Movimento protagonista e promotore insieme al Partito Democratico. E’ necessario – affermano i parlamentari pentastellati – offrire una alternativa concreta alla gestione della città di Benevento, il cui fallimento amministrativo è sotto gli occhi di tutti. Un percorso frutto della capacità di fare sintesi tra le sensibilità dei diversi attori coinvolti che ha permesso la definizione di una specifica piattaforma programmatica e valoriale”.Di questa adesione è fiero Luigi Perifano: “Una bellissima notizia, attesa e da oggi ufficiale: avrò al mio fianco anche il Movimento Cinque Stelle. L’apporto del M5S varrà a concretizzare ulteriormente il profilo innovativo di Alternativa per Benevento, coalizione che gli stessi esponenti locali del Movimento, a cui va il mio ringraziamento per la fiducia dimostratami, hanno contribuito a costruire. Si coalizzano anche a noi le forze che a Napoli sostengono Gaetano Manfredi. Vivremo insieme l’esperienza di restituire alla città passione e ingegno per guardare al futuro e archiviare il grigiore di questi anni”. L’assurdo, poi, è che Pantaleone (detto Leo) Annunziata, a margine di quell’incontro abbia agitato il deliberato della direzione regionale del 17 febbraio 2020, per sostenere che la linea indicata da lui oggi è scritta in quel deliberato, approvato quando Mastella, ancora dimissionario quale sindaco di Benevento, non aveva ancora girato le spalle a Berlusconi, anche se aveva cominciato a scodinzolare attorno a Vincenzo De Luca. Quindi, quel deliberato non può aver compreso lo schema proposto da Mastella a De Luca, anche perché non si erano svolte ancora le elezioni regionali. 

Il danno arrecato al Pd dalla candidatura di dirigenti dem in altre liste collegate a Vincenzo De Luca
In quel deliberato, approvato all’unanimità, era fatto, invece, divieto agli iscritti al Pd di candidarsi, senza autorizzazione del Partito, in altre liste schierate con De Luca. I fatti, invece, si sono incaricati di dimostrare che, senza autorizzazione da parte di qualsiasi organi di partito,  cinque iscritti al Pd sannita siano stati candidati in Campania Libera, Fare Democratico e De Luca Presidente,  lista che hanno conseguito, rispettivamente, 7.903 voti in provincia (di cui 885 in città), 5.716 voti in provincia (di cui 547 in città),  10.903 voti in provincia (di cui 2.607 in città). Solo i voti di Campania Libera hanno avuto, rispetto a quelli calamitati da Lucia Meccariello, vice sindaco Pd di Moiano, l’apporto consistente di Fernando Errico, già consigliere regionale mastelliano (2005-2010), candidato ed eletto nel 2015 nel Nuovo Centro Destra di Alfano, senza però insediarsi nel Consiglio regionale, poiché il seggio venne assegnato a Stefano Caldoro, il candidato presidente soccombente di centro destra. Fernando Errico, sindaco di S.Nicola Manfredi, è ora con Mastella, avendo anche lui, molto prima di Mastella, lasciato  Forza Italia, di cui era coordinatore provinciale. Attualmente, per aver sostenuto De Luca, rappresenta il governatore regionale nell’Alta Capacità Ferroviaria NA-BA.Dai voti riportati dalle suddette liste, si può avere la dimensione – non matematica poiché nella espressione delle preferenze ha influito il fattore personale dei candidati –   di quanti voti siano stati sottratti al Pd, che tuttavia, con i 16.956 voti conseguiti in provincia, è il primo partito. Basti dire che in De Luca Presidente era candidato Raffaele Del Vecchio, nella speranza di sottrarre il seggio al Pd o di impedire la rielezione di Erasmo Mortaruolo. Ma allora era ancora in vita il padre di Raffaele Del Vecchio, un grande collettore di voti, almeno in città.Se una responsabilità può essere attribuita, parlando con il senno del poi, a Del Basso De Caro, è certamente quella di aver proposto, nel 2016, Raffaele Del Vecchio quale candidato sindaco della coalizione di centro sinistra, un candidato che, posizionatosi  al primo turno sul 33%, al di sotto di 14 punti rispetto al 47% conseguito dall’insieme di liste della coalizione, non ha dimostrato di essere un’alternativa valida nei confronti di Mastella. Ancora di meno poteva essere una alternativa la pentastellata  Marianna Farese, la quale, benché uscita affermata con il 20,86%,  allora si avviava alla vita politica.
Lo stesso Francesco De Pierro, in occasione della elezione di Giovanni De Lorenzo a segretario cittadino del Pd, dirà di aver riscontrato il rifiuto di buona parte dei suoi 893 elettori nel votare il candidato sindaco della coalizione.Che ora De Pierro faccia causa comune con Del Vecchio è un fatto tutt’altro che politico, come tutt’altro che politica è la loro scelta di sostenere la ricandidatura di Mastella, insieme a Cosimo Lepore. Quando Mastella parla male delle precedenti amministrazioni di centro sinistra, Raffaele Del Vecchio e Cosimo Lepore, che di quelle amministrazioni sono stati, il primo, vice sindaco per 10 anni e, il secondo, assessore, non si sentono neanche colpiti nell’amor proprio.Non meraviglia il fatto che De Pierro e Lepore si siano avvicinati a Mastella. Infatti, De Pierro, lasciato il gruppo dell’Udeur di Mastella,  è passato nel Pd nel 2015, quando Del Basso De Caro  era sottosegretario alle Infrastrutture e Mastella non era più neanche parlamentare europeo; mentre Cosimo Lepore, nato politicamente nella Dc e schierato con Mastella nella Sinistra di Base, ha aderito a La Margherita, dopo lo scioglimento della Dc. Meraviglia, invece, che Del Vecchio, passato con il padre Nino nei Ds durante la diaspora socialista, sia un sostenitore della ricandidatura di Mastella. Non si capisce come si possa mantenere la schiena dritta, quando poi si assume una posizione prona nei confronti di un sindaco di cui si è stati competitori perdenti!Certamente, quella dei tre consiglieri comunali nell’appoggiare la candidatura di Mastella, quando il loro partito si è posto in alternativa a Mastella, è un’avventura al buio. D’altra parte, non è dato sapere dove approderà il viandante Mastella fra quattro anni, quando De Luca non può essere più ricandidato alla Presidenza della Regione, dopo aver svolto due mandati. E’ da ritenere che troverà la collocazione migliore per sé e per la moglie, avendo un buon intuito, un intuito che si rivelato perdente solo quando egli ha fatto cadere Prodi, pensando che Berlusconi avrebbe steso un tappeto rosso per accoglierlo nel centro destra.Da quando, all’inizio del 1994, si è sciolta la Dc, Mastella, prima con il Ccd e poi con l’Udeur, è stato, infatti, sempre nel governo della Regione Campania, eccettuata la consiliatura 2015-2020 quando non ha avuto alcun seggio. Nel 1995, il suo Ccd si è presentato nella coalizione di Antonio Rastrelli, l’aennino che quando convocava i comizi in piazza Matteotti a Napoli, faceva scrivere sui manifesti “piazza delle Poste”, riscontrando addirittura il dissenso di Pino Rauti, un ex repubblichino della  X MAS. Poi, nel 1998, messo in atto il ribaltone per sostenere il governo D’Alema, fa cadere in Regione la giunta Rastrelli. Nel 2000 si allea con Bassolino e rimane nel governo regionale per 10 anni. Nel  2005, fa eleggere la moglie nel listino del Presidente, imponendola poi come presidente del Consiglio regionale. Nel 2010, quando era già passato nel centro destra ottenendo la  elezione nel 2009 al Parlamento di Strasburgo, candida la moglie nella coalizione vincente di Stefano Caldoro. Infine, nel 2020, relegato in soffitta l’Udeur, costituisce Noi Campani per schierarsi con la coalizione di Vincenzo De Luca, eleggendo, a Benevento, Luigi Abbate, e, a Caserta, Maria Luigia Iodice.Non si conosce ancora la posizione assunta dagli organi nazionali del Partito Democratico rispetto alla trasferta beneventana di Leo Annunziata, le cui dichiarazioni, scrive la federazione provinciale del Pd di Benevento, sono “fuori contesto, fuori tempo, fuori luogo”, anche perché “l’avventata proposta di Pantaleone Annunziata è la fotocopia, sbiadita, di documenti già bocciati a larga maggioranza dal Comitato Cittadino e dai consiglieri comunali (quelli  schierati con la maggioranza: Fioretti, Varricchio e Paglia – ndr) nella riunione del 12 dicembre 2020”. Riproporli sette mesi dopo “equivale ad ignorare totalmente  il contesto della nostra Città e le scelte già compiute  dal PD Cittadino e Provinciale, le alleanze  politiche e programmatiche stipulate con il M5S, con Articolo Uno, con Centro Democratico e numerose Associazioni civiche rappresentative  del grande impegno di vasti settori dell’opinione pubblica interessati ad un progetto per il futuro della  Città”. Queste forze rappresentano quel ““campo largo e plurale” che era ed è negli auspici e nelle sollecitazioni dei due ultimi Segretari Nazionali, Nicola Zingaretti ed Enrico Letta”.

Il capogruppo del Pd al Consiglio regionale, Mario Casillo, e il consigliere regionale dem sannita, Erasmo Mortaruolo, prendono posizione rispetto alla trasferta beneventana di Leo Annunziata
Ma anche il capogruppo del Pd al Consiglio regionale, Mario Casillo, e il consigliere regionale Erasmo Mortaruolo  hanno preso posizione in merito alla vicenda del Pd sannita.A seguito dell’incontro svoltosi il 15 luglio tra il capogruppo regionale del Pd, Mario Casillo, e il consigliere regionale Erasmo Mortaruolo, in relazione  alle prossime amministrative di Benevento, è emersa “preoccupazione in merito alla decisione del segretario regionale del Pd di operare scelte di parte che vadano in controtendenza rispetto a quanto già deciso dalla federazione sannita”. I due  consiglieri regionali “auspicano che tutte le parti in causa lavorino per l’unione del partito, in stretto contatto con le realtà territoriali, per garantire  un’amministrazione stabile e duratura alla città di Benevento”.
Se Mastella sarà mandato a casa, si salveranno anche i pini di viale degli Atlantici, di via Pacevecchia e di via Fratelli Rosselli, a rischio di abbattimento subito, nel numero di 24 esemplari, e di successivo abbattimento, nel numero di altri 34 esemplari, secondo la perizia commissionata al perito Giuseppe Cardiello da Mastella.

Per il taglio dei 12 pini sul viale degli Atlantici, indagati due funzionari del Comune, ma non Mastella
La Procura della Repubblica, infatti, in ordine al taglio di 12 pini nel marzo 2019, la cui pericolosità non è stata mai accertata, ha iscritto nel registro degli indagati due funzionari del Comune:. Andrea Lanzalone, all’epoca dirigente del settore Ambiente, e Giovanni Zollo, funzionario agrotecnico dell’ufficio Verde pubblico.  Il mandante, cioè il sindaco, è stato ignorato dalla Procura perché non risulta firmatario di alcun atto in relazione a quel taglio, così come non venne colpito dalla Magistratura quando, finito pare in bancarotta l’istituto di credito da lui insediato in Arpaise quale emanazione di quello voluto da De Mita in Avellino, furono indagati, imputati e, in alcuni casi, anche condannati i rispettivi dirigenti.
Si chiama fuori dalla vicenda di quel taglio anche l’attuale assessore all’Ambiente, Gerardo Giorgione, chiamato in giunta per la seconda volta da Mastella il primo di agosto 2020: la prima volta su indicazione di Forza Italia, nella cui lista era stato eletto consigliere, la seconda volta in sostituzione di Antonio Reale, ritenuto colpevole di non aver seguito Mastella, dopo qualche tentennamento, nell’avventura di Noi Campani, perché eletto il Forza Italia. Va rilevato poi che Giorgione ha fatto tagliare tutti gli alberi che circondavano la rotonda delle scienze, con il pericolo che sulla scarpata vi possano essere degli smottamenti, a seguito di abbondanti piogge, ed ha fatto capitozzare i platani sul vialetto che porta alla stazione di Porta Rufina, un taglio, quest’ultimo, denunciato, pare, pure alla Magistratura.
Anche Mastella andrebbe annoverato in quei capi di partito che si attorniano di persone fedeli per rimanere sempre in sella. Dopo il primo dimissionamento di Gerardo Giorgione nell’agosto 2016, Mastella, caso unico forse nella storia delle amministrazioni comunali, ha sostituito ben otto assessori in quattro anni.

La campagna elettorale di Mastella
Ora, oltre ad aprire cantieri elettorali un po’ ovunque, si dimena in squallide operazioni di propaganda. Nel corso della seduta consiliare, convocata per il 22 luglio,  ha previsto, insieme al consigliere delegato allo Sport, Enzo Lauro, di premiare l’Accademia di Volley per la conquistata promozione.
Inoltre, ha inaugurato il nuovo collegamento dell’acquedotto del Biferno alla rete idrica cittadina ma solo per gli stabilimenti industriali di Pezzapiana e poche famiglie della zona. Agli abitanti dei rioni Libertà, Ferrovia e Centro storico continua ad essere erogata acqua contaminata al Tetracloroetilene, anche se la parte bassa della città, ricadente in tali rioni, viene approvvigionata  dall’acqua dei pozzi, miscelata al 30% con acqua del Biferno. Per far fronte poi all’emergenza ambientale, gli sta dando una il suo fiduciario alla Provincia, che sta impiegando gli operai forestali nel pulire strade e marciapiedi, anche del centro cittadino, dalle erbacce che crescono spontaneamente.
Giuseppe Di Gioia

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