5 maggio 1821… “Ei fu”

Non possiamo tralasciare di ricordare Napoleone Bonaparte, nel secondo centenario della sua morte, un generale che, sebbene di origini italiane, fu francese, perché nacque ad Ajaccio in Corsica il 15 agosto 1769, in quell’isola divenuta francese  poco più di un anno prima con la stipula del trattato di Versailles del 1768, con il quale la Repubblica di Genova lasciava mano libera alla Francia nell’isola,  dopo la conquista da parte delle armate di Luigi XV e  di conseguenza annessa al patrimonio personale del re. La famiglia Bonaparte apparteneva alla piccola borghesia còrsa e aveva forse lontane origini nobili genovesi. 
Di Napoleone  tutti conosciamo  il suo esordio nella carriera militare e le conquiste territoriali, con le quali si affermò giovanissimo sulla ribalta della storia del periodo post rivoluzionario franse. 
Egli ruppe con il passato in tantissimi modi, innovando ovunque fu possibile, pensiamo ad esempio all’utilizzo, quale antesignano, durante le sue tantissime campagne di guerra, come testimoniato dai dipinti contemporanei del suo quartier generale, del sistema di telecomunicazione, realizzato con il telegrafo ottico, ideato dai fratelli Claude ed Ignazio Chappe, nel 1793.
Esso consisteva in una torre, sulla cui sommità era stato installato un braccio rotante, dotato alle estremità di due bracci minori. A seconda della loro posizione significavano lettere, numeri, ordini di servizio. Da una postazione successiva, distante diversi chilometri, un addetto dotato di cannocchiale, riceveva il messaggio e lo ripeteva alla stazione successiva e così via di seguito, fino a raggiungere la guarnigione, a cui il messaggio era destinato. 
I successi militari di Bonaparte costrinsero nel 1798, il Direttorio, preoccupato per l’eccessiva popolarità e per il notevole prestigio del giovane generale, ad affidargli l’incarico di occupare l’Egitto per contrastare la conquista inglese dell’India.
Napoleone aveva da anni accarezzato l’idea di una campagna in oriente, sognando di seguire le orme di Alessandro Magno. Egli era dell’idea che: “L’Europa è una tana di talpe. Tutte le grandi personalità vengono dall’Oriente”. Anche in questa occasione si rivelò la devozione di Napoleone ai principi dell’Illuminismo. Nella sua spedizione militare si fece affiancare da archeologi che ebbero il merito di far riscoprire, dopo centinaia di anni, la grandezza di quella terra. Grazie a Napoleone nacque la moderna egittologia, dovuta alla scoperta della Stele di Rosetta, da parte dei soldati francesi.
Una volta tornato in patria, per accentrare nelle sue mani tutto il potere, al ritorno in patria, Napoleone avrebbe voluto indurre le due Camere, cioè il Consiglio degli Anziani ed il Consiglio dei Cinquecento,  a votare autonomamente il loro scioglimento e la cessione dei poteri nelle sue mani,  ma l’obiettivo del colpo di Stato non fu di così  facile realizzazione.
A suo sostegno dovette  intervenire il fratello Luciano, presidente dei Cinquecento. Infatti egli  uscì dalla sala e arringò le truppe schierate all’esterno, ordinando che disperdessero i deputati contrari al fratello.  Per  convincerli usò un astuto stratagemma: puntò la sua spada al collo di Napoleone e dichiarò: «Non esiterei un attimo a uccidere mio fratello se sapessi che costui stesse attentando alla libertà della Francia». Le truppe, in gran parte veterani delle campagne di Napoleone,  entrarono con le baionette spianate e dispersero i deputati. In serata, le Camere venivano sciolte e fu votato il decreto che assegnava i pieni poteri a tre consoli: Roger Ducos, Sieyès e Napoleone.
Nominati consoli provvisori, i tre nuovi padroni della Francia redassero insieme a due apposite commissioni una nuova costituzione, la costituzione dell’anno VIII, dell’era rivoluzionaria, che ratificata con un plebiscito popolare, legittimava il colpo di Stato napoleonico. Gli ideali della rivoluzione si riversarono nel pensiero politico di Sieyès, il quale vedeva nella costituzione del  Consolato  un governo dei notabili, che assicurasse la democrazia attraverso un complesso equilibrio di poteri. Questo progetto fu mandato all’aria da Napoleone il quale, pur  essendo in teoria detentore del solo potere esecutivo, aveva in realtà facile gioco nello scavalcare quello legislativo, frammentato in ben quattro Camere. 
Fattosi nominare Primo Console, ossia concretamente superiore a qualsiasi altro potere dello Stato, Napoleone si impegno nelle riforme su tutti i fronti.
Per prima istituì in Francia una struttura amministrativa fortemente accentratrice, che tale  è rimasta fino ad oggi. La nazione fu divisa in dipartimenti, distretti e comuni, rispettivamente amministrati da prefetti, sottoprefetti e sindaci. Le casse dello Stato furono risanate dalle conquiste di guerra e fu così possibile la fondazione della Banca di Francia, contemporaneamente all’introduzione del franco d’argento, che poneva fine all’era degli assegnati e dell’inflazione.
La lunga lotta contro il Cattolicesimo si concluse con il Concordato del 1801, ratificato da papa Pio VII, che dichiarava il Cattolicesimo «religione della maggioranza dei francesi» (benché non religione di Stato), ma non riconsegnava al clero i beni espropriati durante la rivoluzione.
Nel campo dell’istruzione, Napoleone istituì i licei e i politecnici, per formare una classe dirigente preparata, ma tralasciò l’istruzione elementare, essendo dell’idea che il popolo dovesse rimanere in una certa ignoranza per garantire un governo stabile ed un esercito ubbidiente. Il consolato di Napoleone divenne «a vita» con il plebiscito del 2 agosto 1802, giorno in cui  nasceva  l’Impero napoleonico.
Oltre alle conquiste militari di cui non restò poi molta traccia, Napoleone ebbe il merito di diffondere in tutta l’Europa i valori della Rivoluzione francese e cristallizzò le idee illuministiche e giusnaturalistiche, nel codice civile, per la cui redazione incaricò l’11 agosto 1799, una commissione  composta dal Secondo Console Jean-Jacques Régis de Cambacérès e da quattro avvocati.
Essa fu presieduta molto spesso dallo stesso Napoleone, al quale venivano trasmesse  le bozze da leggere durante le campagne militari e poi inviava a Parigi, dal fronte, le sue idee sul progetto. Il 21 marzo 1804 il Codice Civile, immediatamente ribattezzato Codice Napoleonico, entrava in vigore. 
Esso fu esportato in tutti i paesi dove giunsero le armate di Napoleone, fu preso a modello da tutti gli Stati dell’Europa continentale e ancora oggi è la base del diritto italiano. Il Codice eliminava definitivamente i retaggi dell’Ancien Régime, del feudalesimo, dell’assolutismo monarchico, e creava una società prevalentemente borghese e liberale, di ispirazione laica, nella quale venivano consacrati i diritti di eguaglianza, sicurezza e proprietà. Tra i principi della Rivoluzione, venivano salvaguardati quelli della libertà personale, dell’uguaglianza davanti alla legge, della laicità dello Stato (già sancita dal Concordato), della libertà di coscienza, della libertà del lavoro. Il Codice era stato però pensato e redatto soprattutto per valorizzare gli ideali della borghesia; il  contratto ne era la base sia per la proprietà che per la famiglia, di stampo patriarcale, dove  il padre aveva il potere assoluto sui figli, senza controllo da parte delle autorità ed amministrava i beni della moglie, dalla quale poteva divorziare. 
Il valore del Codice napoleonico fu fondamentale, poiché esso fu introdotto in tutti i territori conquistati da Napoleone e confluì poi  anche nel codice civile italiano del 1865. Di eguale valore e importanza furono anche gli altri codici: quello di procedura civile, emanato nel 1806, quello del commercio (1807), quello di procedura penale (1808) e il codice penale del 1810.
Napoleone, dunque, una volta divenuto console a vita, era diventato  in pratica sovrano assoluto della Francia ed il 18 maggio 1804 il Senato lo proclamò Imperatore dei francesi. Il 2 dicembre del 1804, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, fu celebrata la cerimonia di incoronazione. Napoleone si auto incoronò imperatore dei francesi e quindi a sua volta incoronò imperatrice sua moglie Giuseppina di Beauharnais, alla presenza  del Papa.
Successivamente, il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano, Napoleone fu incoronato Re d’Italia, con una fastosa cerimonia alla presenza dei suoi più fedeli collaboratori in Italia. Fu in questa occasione che  Napoleone, postosi sul capo la corona imperiale, appositamente creata per lui, pronunciò le famose parole: “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca”. Quando .commentò la sua campagna in Italia affermò: ”Vedevo il mondo sprofondare sotto di me, come se fossi sollevato in aria”.
All’imperatore francese, noi italiani, dobbiamo anche l’ideazione della bandiera: Infatti, nel 1796 la Legione Lombarda, prima forza armata italiana, insieme alle ex legazioni pontificie, che a loro volta si erano costituite in Repubblica Cispadana, mutuarono  la nostra bandiera da quella francese con il bianco, rosso e verde. Infine il 07.01.1798 il tricolore fu dichiarato bandiera nazionale italiana.
Con Napoleone dunque rinasceva così  in Francia la monarchia, ma non era la stessa monarchia rovesciata nel 1792, privata dei poteri già nel 1789. Napoleone non era «re di Francia e di Navarra per grazia di Dio», come citavano le formule dell’Ancien Régime, ma «Imperatore dei francesi per volontà del popolo». Nei documenti ufficiali vi era però una formula di compromesso «Napoleone, per la grazia di Dio e le costituzioni della Repubblica, Imperatore dei Francesi». Fu in sostanza un nuovo re dei francesi, inaugurando così il nuovo corso delle attuali monarchie moderne europee; la sua  fu in effetti una monarchia, poiché Napoleone era padrone assoluto, anche se il suo governo non si rifaceva alla nobiltà feudale dell’Ancien Régime, ma ai princìpi illuministici della borghesia. 
Il declino di Napoleone iniziò con la campagna di Russia, un vero e proprio disastro, che lo portò alla sconfitta di Lipsia, culminata  il 4 maggio 1814, con lo  sbarco all’isola d’Elba, dove il nemico aveva deciso di esiliarlo, pur riconoscendogli la sovranità sull’isola con il rango di principe e la conservazione del titolo di imperatore. 
“Nei dieci mesi di esilio – leggiamo in wikipedia – Napoleone non rimase inoperoso, ma costruì infrastrutture, miniere, strade,  mentre il Congresso di Vienna, che doveva disegnare la nuova Europa della Restaurazione, ipotizzava di esiliarlo nell’oceano. Furono mesi febbrili, che trasformarono un’isola assonnata nel centro culturale e politico del tempo: poeti, artisti, spie e uomini di mondo accorsero nella speranza di visitare quello che era stato l’uomo che aveva tenuto l’Europa in pugno, ospitati nelle residenze signorili della città. Non andarono mai a trovarlo, invece, la moglie e il figlio: il piccolo Re di Roma”.
Rientrò in Francia clandestinamente, per un periodo di cento giorni, ma la disfatta militare di Waterloo, gli fu fatale. Il 15 ottobre 1815 Napoleone venne sbarcato quale  prigioniero ed esule a Sant’Elena, una piccola isola nel mezzo dell’oceano Atlantico, ancora oggi possedimento britannico, così remota e sperduta da rendere impossibile ogni tentativo di fuga.
I dolori allo stomaco dovuti ad un tumore  di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima inospitale dell’isola e con il duro regime impostogli, lo condussero alla morte il 5 maggio 1821 alle ore 17,49. Le ultime parole di Napoleone furono: ”Francia, esercito – capo dell’esercito – Giuseppina”. Egli chiese di essere sepolto sulle sponde della Senna, ma il suo desiderio non fu esaudito dal governo inglese, che  già l’anno prima, aveva stabilito  invece di  seppellirlo nell’isola, pur attribuendogli alla  sua morte, gli onori  di guerra, riservati ad un generale. 
Dopo il Congresso di Vienna del 1815 furono rimessi sul trono d’Europa tutte le  famiglie reali, spodestate da Napoleone, il quale rimase sepolto nell’isola di S, Elena fino al 02 dicembre  1840, giorno in cui  i suoi resti giunsero a Cherbourg, in Normandia, ed il 15 dicembre 1840 ebbe luogo il funerale solenne a Parigi, celebrato con tutti gli onori del rango imperiale.
Le cronache del tempo lo descrivono minuziosamente: il feretro fu deposto su un carro trainato da 16 cavalli, scortato, a cavallo, sui quattro lati, il corteo funebre passò sotto l’Arco di Trionfo, tra due file di insegne con l’aquila imperiale, salutato dalle salve di cannone e accolto dalla famiglia reale, in nome dell’intera Francia.
Ora, i resti di Napoleone riposano in un monumento posto in una cripta a cielo aperto ricavata nel pavimento della chiesa di Saint-Louis des Invalides a Parigi, esattamente sotto la cupola dorata. Il monumento, concepito dall’architetto Louis Visconti, fu terminato nel 1861 e consiste in un grande sarcofago di porfido rosso della Finlandia, che contiene le sei bare entro cui è stato chiuso il corpo di Napoleone.
Ad iniziare dalla più interna alla più esterna abbiamo una bara in lamiera e poi una in mogano, due bare in piombo, una in ebano e l’ultima in legno di quercia. Intorno al sarcofago c’è un loggiato circolare decorato con enormi statue raffiguranti le dodici Vittorie. In vita, invece, gli furono conferite cinque onorificenze francesi e ben ventotto straniere.
Ludwing van Beethoven  gli dedicò la 3° Sinfonia,”L’eroica”, ma poi stracciò la dedica, mentre il 19 luglio 1821, alla notizia della morte di Napoleone, Alessandro Manzoni compose la celebre ode “Il cinque maggio”, che ebbe una forte risonanza in tutta Europa e fu tradotta in tedesco da Johann Wolfgang von Goethe. 
In essa, “vergin di servo encomio e del codardo oltraggio”, Manzoni volle immaginare al momento della morte, la presenza di Dio, sul letto dell’ateo Napoleone, laddove il poeta afferma;“ sulla deserta coltrice, accanto a lui posò”.
Maria Varricchio

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