Maria Fortuna e il borgo Frassivento


di Mons. Pasquale Maria Mainolfi

Il Preside Michele Ruggiano mi onora della sua stima e amicizia.
In verità, nutro verso di lui una profonda e sincera venerazione. Per tanti anni docente di lettere e preside nei licei e negli istituti magistrali. Per dieci anni ha insegnato letteratura italiana e didattica generale nell’Istituto universitario di scienze religiose 
” Redemptor hominis” del quale ero direttore. È stato presidente della sezione beneventana di 
“Italia Nostra” e direttore del ” Centro Studi del Sannio” . Autore raffinato e assai competente di pubblicazioni storico letterarie : ” L ‘infinito nella sensibilità romantica”, ” Leopardi
e la pena di vivere”, “Le radici cristiane nella letteratura moderna-Petrarca, Leopardi , Boudelaire”, “Il fiore del deserto-Vita e opere di Giacomo Leopardi”, “Raccontare Leopardi”, “Amori di sogno e sogni d’amore”. Ultimo lavoro: “Cuore di donna nel borgo antico”, 226 pagine, anno 2022. Nella introduzione l’autore spiega che il “villaggio globale” della civiltà moderna ha oscurato il villaggio storico e reale, omologando comportamenti esteriori ed interiori, non solo cibo e vestiti ma persino pensieri e sentimenti. Anche Dante Alighieri viene sorpassato dalla nuova Koinè linguistica, l’inglese. I mass media hanno scavalcato greco, latino, italiano e francese nel nostro mondo occidentale, consegnando l’auriga alla lingua inglese. Ma nel borgo antico dimorano le nostre salde radici, cuori e cervelli umani che “vissero, soffrirono e amarono, come si vive, si soffre e si ama sempre nel mondo”. Tutto il racconto in questo prezioso lavoro è centrato su “gente meccaniche e di piccol affare”, come si esprime il poeta lombardo, Alessandro Manzoni. Al centro del racconto una donna, Maria Fortuna, meraviglioso cuore di mamma sfortunata ed eroica e accanto a lei il nome del borgo antico, Frassivento, a tutti noto come Frasso Telesino, ridente paese medievale del Sannio, perennemente flagellato dal vento. La splendida fatica storico letteraria si compone di una introduzione e quattro parti che si snodano in 47 agili e coinvolgenti capitoli. L’andamento semantico e letterario è lirico, solenne, limpido, nostalgico, ammaliante ed a tratti struggente, vorrei dire squisitamente leopardiano. Il preside Ruggiano scrive veramente bene, perché culturalmente molto attrezzato, le sue parole poi avvolgono, coinvolgono, stravolgono il lettore perché sempre egli affonda la penna nel calamaio del cuore, mentre un “fiume amaro” attraversa l’animo del puntuale e forbito cronista. Sì, perché Maria Fortuna è la sua meravigliosa e indimenticabile mamma, andata sposa ad Ernesto, un giovane di 25 anni, già impegnato nella sua bottega di calzolaio e con la passione di suonatore del flicorno soprano nella banda musicale del paese. Le nozze dopo nove mesi di fidanzamento. Giorni felici. Quattro figli, la primogenita Maria Immacolata, e poi tre maschi. Tra questi un bel biondino “tale e quale la madre”. Una bella famiglia, serena, garrula, gioiosa. Uragano improvviso: dopo appena 5 anni di vita coniugale felice, muore lo sposo, Ernesto , a causa del medico che scambia una nefrite per malattia nervosa. Maria soffrirà non solo per il venir meno dell’unica fonte di sopravvivenza materiale del “nido” ma soprattutto per la perdita dello sposo che amerà sempre e per tutta la vita. Sacrifici senza fine per accudire e crescere i bambini. La consolazione di Dio non manca. La trasformazione delle olive in olio e del latte in formaggio impegna tra stenti e fatiche, la vita di questa madre sfortunata e dolente. Un raggio di sole spunta nel cuore di mamma Maria quando i figli si sistemano ed uno di loro si laurea e diventa professore di Lettere. Maria è una grande credente, ma quando si soffre tanto, anche il cuore di una credente si ammala. E nel pomeriggio del Venerdì Santo, durante la tradizionale processione penitenziale, Maria cade per terra, fulminata da un infarto cardiaco, sotto lo sguardo del Cristo morto e della Vergine Addolorata. Pienamente associata al dolore divino, a circa 60 anni di età. L’andamento dell’appassionato racconto di Michele Ruggiano scorre limpidamente come un fiume carsico che scorre sotterraneo per poi riemergere con forza veemente in superficie. Linguaggio semplice, limpido come acqua cristallina, che tutti possono agevolmente comprendere ma culturalmente sapido con ricorrenti riferimenti a poeti, scrittori, romanzieri, filosofi, artisti e musicisti, ad eventi storici, sociali e politici, come il trionfo plebiscitario dello Scudo Crociato, del 18 aprile 1948, su massoni e comunisti. Quante preziose digressioni e informazioni. Ma, “super omnia” emerge il volto di mamma Maria, donna umile, credente, fedele, innamorata, generosa, tenace, crocifissa dalle vicende della vita, un vero modello di santità feriale nel “piccolo mondo antico” . Certamente la mamma è un mistero, una meravigliosa rivelazione della premurosa tenerezza di Dio. Un albero grande carico di frutti, generosamente donati. Una sorgente d’acqua fresca e lucente sgorgata dal cuore di Dio per dissetarci. Un mare colmo di tesori. Un mistero e un dono grande per il quale non smetteremo mai di dire: grazie

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