L’amore (malato) e il destino dei pini marittimi

Può, il destino di un numero imprecisato di alberi, diventare metafora del destino di una intera città?
Per certo, non sono pochi quanti tenderebbero a non intravedere alcuna correlazione tra le sorti delle due comunità.
Altrettanto certamente non sarà trascurabile il numero di quanti, nel destino dei pini marittimi del Viale degli Atlantici non esiteranno a scorgere la metafora di quanto accade ad una città intera.
È l’incuria, a detta di molti, il principale problema di alberi altrimenti in grado di superare indenni numerosi altri inverni.
Ed è ancora l’incuria il problema principale di una città che di inverni ne ha visti in numero invidiabile e, laddove messa in condizione, potrebbe agevolmente essere in grado di tornare a vivere stagioni più consone alla sua lunga storia.
L’amore per la città che aveva rappresentato nelle speranze di molti la possibilità di riscatto da un decennio di malamministrazione targata centrosinistra – anche se giova sempre ricordare che Pepe, in fondo, da mastelliano che era è approdato al PD solo nella convinzione che il suo padre politico non avesse, nel suo futuro, che un ruolo da nonno ad attenderlo – non ha invece dato cenni in direzione di un magari lento riscatto.
Ed anzi, come la vicenda tetracloroetilene più di tante altre continua a mostrare, il rapporto peraltro ancora apparentemente solido tra una parte della cittadinanza, i rappresentanti di ortodossa fede mastelliana e l’highlander ceppalonese, sembrerebbe avere tutti i crismi del cosiddetto amore malato.
Non sembrano, in effetti, così differenti le dinamiche del rapporto tra i beneventani e il navigato politico che hanno voluto scegliersi come primo cittadino da quelle di una coppia legata da un insano amore malato.
Allo stesso modo in cui, in ogni relazione non propriamente sana, alla idealizzazione tipica della idilliaca fase iniziale – nella quale l’esaltazione dei pregi impedisce qualunque equanime giudizio in merito ai difetti dell’altro – viene pian piano sostituendosi una certa rigidezza dei ruoli per la quale è solitamente uno, ed uno solo, colui che detta le regole che all’altro non rimane che seguire senza se e senza ma, così l’intera popolazione del capoluogo sannita ha ben presto scoperto che dissentire da qualunque manifestazione di quell’ostentato amore finisce invariabilmente per scatenare una reazione forte.
Se non violenta, quantomeno intimidatoria.
Certamente denigratoria.
Tra insofferenza nei confronti del dissenso, epiteti intesi a stigmatizzare ogni tipo di dissidenza e minacce di querela per quanti, non rientrando immediatamente nei ranghi, finiscono per turbare la lineare trama della affabulazione istituzionale, il filo che lega i rappresentati al proprio rappresentante si direbbe sempre più corto, sempre più stringente, sempre più simile a un guinzaglio.
La via per sortire da un tale tipo di relazione è in entrambi i casi, (nel rapporto di coppia o in quello tra la cittadinanza e il primo eletto) la medesima.
Prendere coscienza del proprio problema, definirne con precisione i termini, aprirsi a chi, per legge o per umanità, preposto ad ascoltare.
La fragilità che spesso ci si auto attribuisce, che impedisce di uscire da una relazione malata e che è stata forse tra le cause di quel cortocircuito che ha portato i beneventani ad intravedere il proprio futuro nell’elezione del più navigato (e ondivago) dei politici italiani dovrà lasciare il posto alla determinazione di lasciarsi alle spalle anche questa ennesima, poco costruttiva stagione amministrativa.
E alla convinzione che i rapporti sani, quelli che normalmente “funzionano”, sono quelli in cui entrambe le parti hanno pari dignità.
Come effetto collaterale, qualora questo percorso dovesse essere intrapreso in tempi brevi, i beneventani potranno ancora sperare di passeggiare all’ombra dei pini marittimi che da sempre fanno da guardiani al Viale degli Atlantici.
Previa, è ovvio, ordinaria manutenzione.
Massimo Iazzetti

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