Dante Alighieri a Benevento

di Lucia Caruso

Lungo le sponde del fiume Calore, tra le pietre che hanno assistito alla battaglia del 1266, la fama di Manfredi riecheggia ancora. Ultimo sovrano svevo, giovane e audace, affrontò Carlo d’Angiò, scelto dal papa per distruggere la sua dinastia. In quello scontro, tra strategie e tradimenti, si scrisse una pagina di storia. Secoli dopo, Dante lo salvò dalla dannazione, rendendolo immortale nel Purgatorio. Oggi, passeggiando per Benevento, tra le vie medievali e il ponte sul Calore, si percepisce ancora il peso di un avvenimento mai completamente sepolto. Manfredi e Dante sembrano incontrarsi qui, dove passato e presente dialogano in un gioco di memoria e identità. Ma cosa significa oggi, per Benevento e per il Sannio, quella antica battaglia?

Benevento, 1266

L’aria è tesa sopra la città. Le colline osservano, immobili, mentre gli eserciti si dispongono sul campo. Il re ribelle sa che questa è la lotta di una dinastia, di un regno che il Papato vuole cancellare. Da nord, avanzano le truppe di Carlo d’Angiò, inviate da Clemente IV per spezzare il dominio svevo in Italia. Il pontefice non lo riconosce come legittimo sovrano. Lo considera un ribelle. Per Carlo, è l’ultimo ostacolo prima della conquista. I soldati impugnano le armi. Lo hanno seguito fin qui. Ma la paura si insinua tra loro. Alcuni lo tradiranno prima che il combattimento raggiunga il culmine.

E mentre il clangore del ferro si diffonde, Manfredi guida gli uomini. Resiste, ma la sorte gli è avversa. Il tradimento cambia le sorti dello scontro. Riflette su una possibile fuga. Potrebbe lasciare Benevento, riorganizzarsi. Ma non lo farà. Getta via il mantello, si unisce ai soldati. Combatte con valore, finché un colpo lo raggiunge al petto.

Il corpo viene sepolto inizialmente presso il Calore, ma il capo della Chiesa non gli concede nemmeno la pace della terra. Viene riesumato, i resti dispersi, lontano dai confini cristiani, affinché nemmeno un sasso possa conservarne il ricordo.

Benevento 2025

La polvere si è posata, il fragore delle armi tace. Ma il re svevo non è scomparso. La sua presenza, che avrebbe dovuto dissolversi con le ossa, trova un altro destino tra i versi di Dante, una “tomba” che lo ha reso eterno. Nel Canto III del Purgatorio, è tra le anime degli scomunicati. Non è un’ombra sfocata né un volgare dannato: la sua evanescenza conserva calore e luce.

“Biondo era e bello e di gentile aspetto, 

ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.”

Dante lo vede così: fiero, luminoso, con il segno della battaglia ancora inciso nella carne. La ferita sul petto, non sulle spalle, parla di coraggio. È sul petto, il marchio di chi è andato incontro al   destino senza arretrare. L’antico re non si lamenta. Non impreca, non chiede vendetta. Racconta i fatti:

“Orribil furon li peccati miei,

ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

che prende ciò che si rivolge a lei.”

Questa è la ragione per cui Dante lo colloca tra i purganti. Pentitosi prima di morire, può sperare nella salvezza. C’è una misericordia più grande della scomunica.

Prima che il sommo poeta riprenda il viaggio tra le cornici del Purgatorio, il monarca scomunicatoha una richiesta: che la figlia Costanza sappia la verità. Che preghi per lui. Le preghiere dei vivi ridurranno i tempi della redenzione.

Le acque del fiume continuano a scorrere, portando l’eco dell’antica vicenda. La stele con i versi danteschi è lì, a ricordare che Manfredi non è scomparso. E Benevento non ha dimenticato. Ma il passato non è solo cronaca. È soprattutto rappresentazione di ciò che scegliamo di conservare e di ciò che lasciamo andare. Il re scacciato dalla chiesa, il guerriero caduto ha trovato spazio nei versi di chi ha saputo vederlo oltre la condanna.

Oggi, camminando per la città sannita è facile chiedersi: che cosa ci resta davvero di quella battaglia? È solo un frammento di storia, o è ancora parte delle nostre radici? Forse, come il nobile svevo, anche noi, gentili lettrici e lettori, siamo legati a immagini sepolte che ancora riaffiorano. E, finché qualcuno le ricorderà, queste memorie continueranno a vivere.

L’AUTRICE


Nata a Benevento, dopo gli studi liceali ha conseguito la laurea in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Pisa. Si è dedicata alla docenza presso il liceo classico di Saronno (VA). Attualmente vive tra Benevento e Saronno.  Appassionata di Arte, Musica, Teatro e curatrice di spettacoli teatrali, ha tenuto numerosi corsi di Scrittura Creativa. Articolista per Sannio Matese Magazine, ha scritto svariati libri, pubblicati dal gruppo editoriale PubMe.

2 pensieri riguardo “Dante Alighieri a Benevento

  • 2 Novembre 2025 in 13:15
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    Avere per amica una scrittrice non è cosa da poco perché in un certo senso si ha il privilegio di conoscere in anteprima quello che sarà il plot del romanzo. Lei sente la necessità di condividere raccontando le idee che le frullano in testa. Quindi vedere poi trasformare il suo sogno in un’opera d’arte ha dell’incredibile. Passione, dedizione, entusiasmo sono gli ingredienti della sua ispirazione. Grazie per esserci!

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  • 2 Novembre 2025 in 17:44
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    Lucia Caruso scava una straordinaria pagina dalle profondità della storia del 1266 e porta alla ribalta una tomba vuota – quella di Manfredi – che il Sommo Dante Alighieri ha glorificato nel III canto del Purgatorio, vanificando la scomunica papale. La battaglia di Benevento vedeva contrapposte due agguerriti usurpatori del territorio italiano: gli angioini francesi (guelfi) guidati da Carlo d’Angiò e i ghibellini tedeschi del regno di Sicilia al comando di Manfredi. Giusto in mezzo, però, c’era la Regia del Papa Clemente IV, succeduto ad Urbano IV. Il corpo di Manfredi, colpito a morte, fu seppellito prima sulla sponda del fiume Calore e successivamente riesumato e i resti sparsi ovunque, per disposizione da parte di chi “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole” con facoltà di fare secondo il suo vangelo.

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