BCT Festival – “Io non torno a casa” – Auschwitz , 80 anni dopo 

BCT Festival ci ha offerto anche quest’anno un panorama completo di cultura a 360 gradi.

Insieme alle tante presenze di artisti di grande lignaggio del cinema, della televisione, c’è stato anche un momento di alta riflessione: quello dell’uccisione degli uomini da parte degli altri uomini.

Un argomento questo vecchio come il mondo da Caino ed Abele, da Romolo e Remo, e così via nella storia. Sembra quasi che l’uomo debba primeggiare a tutti i costi, il pensiero cristiano di “Ama il prossimo tuo come te stesso “ e “Perdona le offese ricevute”, suona ormai come anacronistico, difficile da praticare, ne abbiamo avuto l’esempio da Gesù, morente sulla croce, dannoso per l’affermazione del proprio io.

In realtà, le guerre nascono sempre dal desiderio di vivere sempre meglio, di realizzare guadagni, senza guardare minimamente ai metodi necessari per arrivare al traguardo, l’uccisione di popoli èsolo un momento inevitabile.

Su questo ci ha voluto far riflettere il lavoro scritto da Antonio Frascadore direttore artistico della BCT e letto ed interpretato dalla bravissima Anna Foglietta, dal titolo: “Io non torno a casa”, 

In realtà, è il racconto che in teoria hanno scritto quasi sei milioni di ebrei, deportarti ed uccisi nei campi di sterminio nazista.

Qui l’autore ha voluto presentare una sola persona, a testimonianza di quella moltitudine, che non ètornata a casa.

Ringraziamo Antonio Frascadore per aver recuperato la lettera, scritta da Miriam a sua sorella Rachele ed il Rettore dell’Università del Sannio, Prof. Gerardo Canfora, che ha coprodotto l’evento.

La memoria, come hanno ricordato, non può essere relegata al passato, ma deve guardare al futuro, le modalità non sono state uguali, ma l’orrore è lo stesso.

“Il futuro è questo: persone muoiono ingiustamente. La sorte non può essere cieca, così come non può essere cieca la cultura, che si dovrebbe nutrire di rispetto e di attenzione a quello che ci succede.”.

Bisogna dunque concordare con Frascadore e chiedere ai potenti della Terra, coinvolti nella guerra di Gaza, di far tacere subito le armi e trovare una soluzione di pace.

Significativa a questo proposito è stato l’invito accorato apparsa sullo schermo, con la scritta luminosa : “Stop boming Gaza, Now!”.

Il racconto, accompagnato dalle foto più significative dei lager nazisti, narra la storia di Miriam Levi, una ragazza che viveva tranquillamente nella sua città, dove il padre era titolare di una libreria, denominata “Maria Vittoria”, fiero del suo lavoro, perché diceva che chi legge non disturba mai.

Anche a scuola, l’insegnante aveva spiegato a Miriam, che la cultura deve essere condivisa, con gli altri, come il pane.

La madre che oltre ad accudire la famiglia, composta da cinque persone. cuciva di notte, anche per gli altri, le piaceva particolarmente rammendare e sosteneva che così si danno alle cose la possibilità di vivere un’altra occasione.

A Miriam piaceva la matematica. Sapeva di essere ebrea e ne ebbe la conferma la mattina in cui tutta la famiglia, fu arrestata. Con i genitori e con suo fratello e sorella poterono prendere solo poche cose: un maglione, due fotografie, un pettine. Furono accompagnate al binario 21, il binario sotterraneo della città di Milano, che, Miriam fino a quel momento non sapeva neanche esistesse.C’erano tutti: bambini, giovani, vecchi, donne incinte, qualcuno cantava, qualcuno pregava, altri erano attoniti e muti. Da quel momento la sua vita fu sottolineata dagli odori: quello di ferro alla stazione; quello di urina, nel vagone con 80 persone tutte in piedi, stipate l’una vicino all’altra; poi l’odore chimico che entrava in gola, una volta giunti nel lager.

Qui i soldati, con modi molto tirannici, indicavano alle persone dove andare se a destra, o a sinistrai primi restavano, i secondi venivano subito allontanati e non sarebbero mai più tornati…

Alla madre di Miriam toccò di andare a sinistra e prima di andare le sistemò la sciarpa che era storta con un gesto materno ed affettuoso, , l’ultimo, che riuscì a compiere…

Quelli a destra invece venivano spogliati rapati, tatuati con un numero sull’avambraccio e rivestiti di una sorta di pigiama a righe.

Il numero di Miriam fu il 771822. 

Fu allora, in quel momento che decise di scrivere la lettera a sua sorella e di raccontarle quanto le stava accadendo e soprattutto quali fossero i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni.

Una ragazza slovacca, Hana, già presente nel lager, l’avvertì: “Non pensare che finisca, perché finisce solo quando smetti di pensarci”. Si dormiva su un’asse di legno e al mattino l’urlo straziante di una sirena, serviva per svegliarsi. Da allora le furono compagne di vita la paura, la fame, la malattia. Un giorno Miriam aveva trovato una crosta di pane e Laura, vedendola mangiare gli e ne chiese un po’. Ma Miriam l’aveva già mangiata tutta…Laura morì congelata la settimana dopo.

Assistette anche all’uccisione di una bambina, presa per i piedi e…

“Faceva freddo, continua Miriam e non avevo sogni, tanto non tornerò più quella di prima,

Mi sforzavo di pensare agli occhi castani, di mia sorella Rachele. Era un posto senza nome, dove l’odore non andava mai via. Lì non c’era fondo, si scivolava sempre più…

Molti impararono a pregare senza parole. Fu associata ad una baracca destinata ai malati, ma non voleva morire come un animale”..

A volte sognava di ritornare a casa e sentiva solo vento…

Aveva poco più di 35anni e morì il 25 gennaio del 1945, due giorni prima dell’arrivo delle truppe russe, dei soldati dell’Armata Rossa. Quando si aprirono i cancelli, i soldati vi trovarono solo corpi, in attesa di non si sa che cosa…

Malgrado le rassicurazioni delle truppe, quelli esseri viventi scheletriti, non si mossero, per la paura e la fame, avevano addirittura paura di uscire, avevano disimparato a vedere il cielo. Non si aspettavano più nulla.

Dopo, una volta al sicuro, si lavavano frequentemente, ma ormai l’odore del lager non era più sulla loro pelle, ma nel loro ricordo, nei loro pensieri.

Come ha scritto Liliana Segre: “Il ritorno fu ancora più difficile, fuori c’era solo la tua sopravvivenza. Il ricordo è nelle dita che sfiorano il mio tatuaggio.”.

Miriam pensò di raccontare quella sua terribile avventura alla sorella Rachele, in una lettera, che, sperava, lei prima o poi avrebbe letto. Quella lettera è giunta fino a noi ed è conservata in una teca presso il Museo della Memoria di Torino, anche se Miriam afferma: “Io sarò a Torino, ad Aushwitz, io sono ovunque una mano scelga di non voltarsi, voi siete qui e questo mi basta.”. 

Ricorda, l’invito di Miriam, affinché non accada mai più,” Io scrivo in memoria di chi non può più parlare, un’onta nella storia, oggi testimonia così in maniera più efficace del vivere. Uomini e donne anche oggi vivono nella più piena indifferenza, pensiamo alla storia di Gaza, una terra martoriata dove oltre due milioni di persone rischiano l’estinzione.”.

“La mia esperienza mi ha resa combattente, ora stiamo ripercorrendo lo stesso iter, la vittima èdiventa a sua volta carnefice. Stasera ripercorriamo la sua storia, quello di un conflitto impari, nel turbinio della nostra storia, quel sangue appartiene a tutti.”

Maria Varricchio

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