Ifigenia in Tauride rivela l’astuzia sottile, tipica della donna


E’ sicuramente imperdibile l’appuntamento con il Teatro Greco di Siracusa, dove grazie alla Fondazione Inda (Istituto Nazionale del Dramma Antico) è possibile assistere ad eccezionali appunatmenti. Vi voglio ricordare che, per contattare la Fondazione Inda e verificare la disponibilità dei biglietti, bisogna rivolgersi a questo indirizzo di posta elettronica Biglietteria@indafondazione.org, oppure al telefono 0931487248.
L’iniziativa è sostenuta dal Ministero della Cultura, dalla Regione Siciliana, dal Parco Archeologico di Siracusa, da Eloro e Villa del Telloro, dal Comune di Siracusa, da World Heritage Convention, dall’Unesco, ed è a questi soggetti che dobbiamo dire sempre grazie, per il sostegno che danno a Inda Fondazione.
Abbiamo così la possibilità di seguire una stagione teatrale di grandissimo spessore, che vede gli attori impegnati in performance sempre più gratificanti per noi spettatori.
Quest’anno Ifigenia in Tauride ci ha confermato l’astuzia sottile della donna. Infatti, il proverbio dice: ”Ne conosce una più del diavolo”.

Ifigenia, figlia di Agamennone, re dei Greci, deve essere sacrificata al dio, per permettere , così, la navigazione della flotta del padre verso Troia, dove gli eserciti sono diretti per lavare con il sangue, con il ferro ed il fuoco, l’affronto che Paride ha fatto al re Menelao, sottraendogli la bellissima moglie, Elena, che lo ha seguito nella sua splendida città.
Il dio, adirato con Agamennone, gli chiede, in cambio, l’uccisione della propria figlia. Gli uomini sono vittime dei capricci degli dei, ma, con una sorta di compensazione, se un mortale viene preso di mira da un dio, c,è sempre un altro dio che cercherà di aiutarlo.
Infatti, Ifigenia sarà salvata da Artemide, dea della caccia, la quale invierà una cerva, da sacrificare al suo posto. La dea così acquista la gratitudine della giovane, la quale ne diventa sacerdotessa. Il tempio della dea diventa la sua nuova casa. Ed è a questo punto che inizia la rappresentazione: sul palcoscenico vediamo in una teca di plastica, contenente la cerva sacrificata, e l’arrivo di due greci nella città. Uno è Oreste, che si rivelerà fratello di Ifigenia, e l’altro e suo cognato, Pilade, marito della loro sorella Elettra.
Hanno ricevuto l’incarico di sottrarre la statua della dea dal santuario e portarla in patria per erigere un tempio ad essa dedicato. Sono stanchi e smarriti, non sanno proprio come riuscire nell’impresa perché la statua è ben custodita e vigilata notte e giorno. Decidono di cercare rifugio lontano dal tempio per riposarsi, ma vengono catturati e portati al cospetto della sacerdotessa. Ella dovrà purificarli e prepararli per il loro sacrificio sull’altare.
Ifigenia chiede notizie, ai prigionieri, di Argo e dei suoi familiari, ed a quel punto decide di mandare uno di loro in città affinché consegnino al re un suo messaggio.
Pilade si offre volontario al sacrificio, ma Oreste non accetta che Pilade muoia al suo posto, e quindi sarà Pilade a consegnare il messaggio. Nel caso in cui, durante il viaggio, egli perdesse il plico, Ifigenia gli chiede di imparare a memoria il messaggio rivolto ai suoi ed in particolare al fratello amato, Oreste.
Quando quest’ultimo, che, fino al quel momento, si era rifiutato categoricamente di rivelare alla sacerdotessa il suo nome, sente pronunciare il nome della sacerdotessa medesima, a quel punto grida al miracolo, per aver ritrovato viva, la sorella, che pensava morta.
Ifigenia, dopo essersi assicurata della vera identità del fratello, gli chiede cosa sia venuto a cercare in quel luogo così lontano.
Oreste le spiega che l’oracolo gli aveva chiesto di rubare la statua nel tempio e di portarla in Grecia.
A quel punto, Ifigenia vorrebbe salvare capra e cavolo, liberare se stessa e salvare la vita del fratello e del cognato.
Riflette sul da farsi, ed infine riesce a progettare un piano, non appena Oreste, disperato, le confessa di aver ucciso la loro madre. Egli è dunque un matricida. Quindi, poiché è un impuro, non può essere sacrificato sic et simpliciter, deve prima essere purificato , nelle acque marine.
Ifigenia dirà al re che il delitto è stato compiuto da entrambi e che tutti e due hanno, poi, avuto l’ardire di toccare la statua.
Dunque, bisogna purificare nelle acque marine, sia entrambi i prigionieri che la statua da loro profanata, per continuare poi il rito sacrificale.
La sacerdotessa riesce a convincere così il re della città, Lateo, chiedendo un congruo lasso di tempo per preparare gli stranieri al sacrifico e purificare la stessa statua.
Lo stratagemma riesce. La nave dei Greci, nascosta nella baia, dopo un po’ di tempo, grazie alla supplica che Ifigenia rivolge alla dea, riesce a salpare una volta finita la bonaccia.
Poco dopo, un guerriero informa il re dell’accaduto,sollecitandolo ad intervenire per bloccare la partenza degli Achei. In un primo momento il re accetta il suggerimento, ma poi consigliato dalla dea Atena, lascia che i Greci salpino, senza ostacoli.
In questa tragedia, a lieto fine, si intersecano i sentimenti più vari: l’amore filiale; quello genitoriale che sembra soppresso, perché Agamennone accetta di uccidere la sua bella figlia Ifigenia, perché un dio, vendicativo e crudele, così ha chiesto, in cambio del vento necessario a far salpare le navi; l’amore fraterno che unisce Ifigenia ad Oreste, che ritroviamo tutto nell’invocazione alla dea, quando Ifigneia dice: ”Tu che hai amato tuo fratello, permettimi di amare il mio”;
la gioia irrefrenabile quando, entrambi i fratelli si rivedono sani e salvi.
Infine la dea Atena salva i tre giovani, che così faranno ritorno in patria dove erigeranno il tempio a lei dedicato, dando adeguata dimora alla statua trafugata, ma che a sua volta era caduta dal cielo.

Abbiamo assistito con grande passione al racconto di Euripide, dobbiamo solo complimentarci per i bellissimi abiti indossati dagli attori, per le scene e le musiche.
Il gradimento del pubblico è stato sottolineato dai numerosi applausi a scena aperta.
Maria Varricchio
Giuseppe Di Gioia