“Il Regno di Vanitopoli” risveglia lo spirito avventuriero che è in noi

 “Il regno di Vanitopoli” di Maria Iannaccone è un libro pieno di significati e ricco di colpi di scena. Pubblicato per Amazon, sia in formato cartaceo sia ebook, è promosso da un accattivante book trailer.

La storia, dipinta con maestria, è collocata in epoca medievale e affronta tematiche atemporali con un lessico ricercato, chiaro, scorrevole ma soprattutto di grande impatto emotivo. 

Gli eventi narrati prendono lentamente forma e sostanza divenendo concreti, reali e, man mano che si procede nella lettura, si instaura con i personaggi una singolare empatia.

Brillante l’idea dell’autrice di invertire la prospettiva: non è l’uomo a guardare con incanto il cielo e ad ascoltare la sinfonia dell’universo ma è il padre Cielo  che desideroso di conoscere da vicino gli umani, invia sulla Terra Curiosità, un’essenza astrale inserita nel corpo di un terrestre. Questo speciale individuo finisce nel regno di Vanitopoli, dove diviene consigliere personale dei sovrani: Vanesio e Arabella. 

Il malessere esistenziale del re consente a Curiosità di entrare in contatto con persone fragili e sofferenti. La sua presenza tra il popolo gli permette di svelare una realtà caratterizzata da ombre e segreti, lo spinge all’assunzione di nuove responsabilità e a una conoscenza più approfondita dell’animo umano. Ma sarà Curiosità a migliorare e cambiare lo stile di vita degli abitanti di Vanitopoli o avverrà il contrario?

Tra i tanti temi di spessore,  narrati dall’autrice, è degna di nota l’improvvisa crisi esistenziale di Vanesio che ci immette in un argomento a noi molto vicino. 

“Si sentiva insoddisfatto, un senso di vuoto talvolta lo attanagliava e gli confondeva la mente e il cuore.  Si chiedeva spesso quale scopo avesse la sua vita, perché era nato, a cosa era destinato.”

Quante volte, ci capita di porci domande simili e di ingarbugliare la nostra mente con pensieri contorti, di perderci in labirinti inesistenti, in macchinose elucubrazioni mentali? Eppure basterebbe, talvolta, riflettere meno e agire di più, nell’interesse nostro e di chi ci ama.

Non meno intrigante la capacità dell’autrice di “fondere scopo politico e scopo artistico in un tutt’uno ”, parafrasando quanto dichiarò Orwell nel suo saggio  “Perché scrivo” riferendosi al suo romanzo “La fattoria degli animali”. 

Le parole sono per la scrittrice un mezzo per trasmettere informazioni, idee, passioni… per far affiorare interrogativi spesso latenti ma presenti nell’animo umano. E così con grande diligenza, tramite il re Vanesio, ci pone dinanzi a “un buon e cattivo modo di governare”. 

Il sovrano regna inizialmente con saggezza per cui nei suoi territori predominano: l’ordine, la concordia, l’operatività, la produttività, l’armonia. Ma la crisi esistenziale che lo attanaglia trasforma la situazione e  quel clima positivo è sostituito dalla paura, incuria, miseria, soprusi, violenza. 

I suoi feudatari più potenti si trasformano in “marioli”, echeggiando il manzoniano don Ferrante. Scene fantasiose e avventurose fanno ragionare sul valore della governance, di quell’esercizio dell’autorità così ben tradotto in immagini nell’affresco di Lorenzetti del 1338, “Il buono e il cattivo governo”.

In una società, come l’attuale, nella quale un grande ruolo è svolto dalla cronaca quotidiana e dai  sentimenti che essa provoca; nella quale si ricorre alla rapidità mediatica per  divulgare idee e proposte; nella quale per conservare il consenso degli elettori si realizzano programmi di veloce e facile attuazione; nella quale si pensa prima con chi fare il governo  e poi ci si concentra sul come governare, benvenuto sia chi come Iannaccone riesce, attraverso la bellezza di una fiaba, a ricordarci le qualità richieste a chi esercita il potere “in nome e per”  il popolo. 

E allora, se questo libro può donare tanto, sarebbe fantastico inserirlo tra i testi da regalare nelle imminenti festività e …non solo in quelle.

 Liliana Taddeo

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