Il sorriso ed il coraggio nella lotta contro il male

Il sorriso è un’azione tanto facile  e spontanea per alcune persone, quanto rara e difficile per altre. Vi sono persone che percepiamo e definiamo solari, perché con il loro sorriso illuminano il loro viso e chi li circonda, ed altre che, invece, hanno sempre il “broncio”, comunicando al mondo tristezza ed insoddisfazione. Il sorriso è un moto espressivo, un’espressione del viso che indica aspetti positivi della nostra vita, come felicità, tenerezza, piacere, disponibilità, e fa parte dei segnali di comunicazione non verbali. La comunicazione non verbale è uno dei tre canali della comunicazione umana: la comunicazione verbale, che riguarda il linguaggio e le parole, la comunicazione paraverbale, che comprende il tono, il timbro, il volume della voce ed il ritmo dell’eloquio, e la comunicazione non verbale, che comprende la mimica facciale, i movimenti del corpo, la postura, la distanza interpersonale e l’aspetto esteriore. Se il primo canale trasmette prevalentemente informazioni, e quindi contenuto, gli altri due canali trasmettono aspetti emotivi che riguardano le relazioni tra i comunicanti.  Nel secondo assioma sulla comunicazione, Paul Watzlawick  stabilisce che, in ogni comunicazione, accanto ad un aspetto di contenuto ce ne è uno di relazione. Questo significa che non conta soltanto che cosa si sta dicendo, ma anche a chi lo si sta dicendo, come e in che contesto avviene lo scambio. Il sorriso fa parte degli aspetti di relazione della nostra comunicazione, ed è per questo che, se desideriamo avere una comunicazione efficace, è necessario tenerlo in considerazione all’interno dei nostri scambi di relazioni. Il sorriso appare tra il primo ed il secondo mese di vita come reazione a stimoli esterni, come suoni, voci, immagini, oppure presenza di familiari. Il sorriso è innato ed universale. Qualunque neonato sorride, di qualsiasi provenienza etnica, e sorridono anche i bambini affetti da una cecità congenita. Il sorriso si evolve nel corso dello sviluppo. La fase del “sorriso riflesso” avviene nei primi mesi di vita. Il neonato sorride senza stimoli identificabili. Un semplice cambiamento della luminosità nell’ambiente, oppure qualsiasi oggetto animato o inanimato che venga riconosciuto basta a provocare il sorriso. Tra il terzo ed il settimo mese  il neonato sorride davanti a chi lo guarda, dimostrando così di riconoscere la forma del viso di chi lo guarda, differenziandolo da qualsiasi altro oggetto. Dopo il settimo mese, in concomitanza con la comparsa della paura di uno sconosciuto, appare il “sorriso selettivo”, cioè il bambino sorride soltanto ad alcune persone scelte, quelle che conosce. Spesso, in questa fase,  gli adulti che si occupano del bambino si preoccupano, temendo che il bambino abbia “cambiato carattere”, non accorgendosi, invece, che ha compiuto un nuovo passo evolutivo.  Il sorriso porta con sé alcune funzioni biologiche molto importanti, come quella di permettere e sostenere la vicinanza sociale. Il sorriso di un bambino è uno stimolo che scatena il suo rapporto con sua madre. Quando la mamma riceve un sorriso dal proprio bambino reagirà con amore, prolungando le sue attenzioni e le sue cure. Il sorriso è un invito all’avvicinamento, un comportamento di saluto, l’espressione della disponibilità all’approccio ed all’inizio di una relazione. Il sorriso è di grande efficacia nell’annullare le minacce. Talvolta è sufficiente un sorriso autentico per dichiarare la propria disponibilità verso gli altri. Il sorriso è contagioso. Trova riscontro nell’altro, e genera disponibilità all’approccio ed alla relazione. Possiamo dunque affermare che il sorriso è un potente strumento di relazione a nostra disposizione. Inoltre sembra che il sorriso faccia bene anche contro lo stress, riducendo il livello degli ormoni che lo provocano, come il cortisolo e l’adrenalina, ed aumentando quello degli ormoni che regolano l’umore, come le endorfine. “La comunicazione è un tipico fenomeno sociale di natura permissiva, in quanto riduce le barriere personali” (E. Miotto). Indossare un sorriso può essere un buon passepartout per aprire il portone d’ingresso a qualcuno: per farsi benvolere, per  iniziare una conversazione, oppure per inserirsi in una già in atto. Se proviamo ad entrare in una sala che ospita un meeting, è molto probabile che troveremo più interlocutori con i quali intraprendere una conversazione se il nostro volto sarà sorridente, anziché mostrare un’espressione negativa, proprio perché il sorriso è un segnale non verbale che comunica disponibilità ed apertura. Noteremo come il sorriso riguarda soprattutto le interazioni sociali. Sorridiamo di più quando siamo in compagnia, e non quando ci troviamo da soli. Sorridiamo perché il sorriso promuove e facilita le relazioni, ed il loro mantenimento, e non solo perché siamo felici. Con il tempo, impariamo che non tutti i sorrisi sono veri. Ekman e Friesen hanno distinto tre sorrisi. Il sorriso spontaneo, che coinvolge l’intero volto, con il sollevamento degli angoli della bocca, mostrando i denti e contraendo i muscoli orbicolari, il  sorriso simulato, che coinvolge soltanto i muscoli zigomatici, ed il sorriso forzato, che coinvolge la zona inferiore del viso. Esiste un legame tra l’autostima e la disponibilità a sorridere. Il sorriso riguarda questioni profonde, legate al senso di sé ed alla propria efficienza relazionale, oltre al proprio “potere personale” (Rogers), ed ha radici nell’infanzia e nelle prime relazioni significative sperimentate. Inoltre si collega alla propria autostima. L’autostima, che in psicoanalisi è  definita “narcisismo sano”, è una componente emotivo dell’uomo, che dipende da numerosi fattori:  dalla storia del soggetto, dai riscontri che riceve nel corso della sua vita, e dalla sua percezione. L’autostima è connessa alle qualità che ammiriamo, in noi stessi e negli altri. Alice W. Pope sostiene che la stima di sé abbia origine dal confronto tra l’immagine che ciascuno ha di se stesso e l’immagine di ciò che si vorrebbe essere. Tanto più il “come siamo” è lontano da “il come vorremmo essere”, tanto più ci si sente persone di minor valore, provando insoddisfazione nei propri confronti, e tanto meno si sorriderà. L’autostima è solo una componente del nostro benessere psicologico, ma funziona come una lente che ingigantisce o rimpicciolisce le nostre risorse. Inoltre non è una condizione permanente,  ma è modificabile, e su di essa è possibile lavorare. Per questa ragione chi riesce a lavorare su di sé, modificando il proprio benessere psico-fisico, riesce poi a modificare la propria capacità di sorridere e di aprirsi al mondo. Il sorriso è anche un segno di disponibilità.  Personaggi come Clint Eastwood e Margaret Thatcher raramente sono stati visti sorridere, poiché non volevano trasmettere un messaggio di eccessiva disponibilità. Il sorriso ha un potere enorme per migliorare la nostra autostima, ridurre lo stress e migliorare le nostre relazioni. Fa bene a noi eagli altri, ed è contagioso. Sorridere permette di aprirsi agli altri e di rompere  le barriere (E. Miotto). Oltre ad essere un piacere per la mente e per il corpo, è anche uno strumento di relazione da tenere sempre in considerazione. Il proverbio “L’abito non fa il monaco”  ci invita a diffidare delle apparenze non di rado ingannevoli, nel giudicare una persona, evitando di esprimere valutazioni precipitose e superficiali sul suo conto. Spesso le persone non sono come appaiono a prima vista, ma a volte succede il contrario. Nel diciannovesimo capitolo dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni il conte zio, rivolgendosi al padre provinciale che aveva difeso  fra Cristoforo e “la gloria dell’abito”, capace di far sì  “che un uomo, il quale al secolo ha potuto far di   sé, con questo indosso diventi un altro”, risponde: “Vorrei crederlo; ma alle volte, come dice il proverbio “L’abito non fa il monaco” “. In un’annotazione del Manzoni: “Il proverbio non veniva in taglio esattamente; ma il conte l’ aveva sostituito frettolosamente a  un altro che gli era venuto sulla punta della lingua: “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”. “E’ una lotta continua”. Tante volte siamo ricorsi e questo motto per descrivere una condizione che non ci abbandona mai. La vita ci fa conoscere rari momenti di pace e di serenità, ma per lo più è lotta. Per qualcuno sarà una lotta contro le ingiustizie subite, per altri sarà il combattimento contro una malattia, per altri ancora si tratterà di combattere a causa delle rivalità presenti nel mondo del lavoro, oppure combattere contro i propri familiari.  E’ facile vedere negli ostacoli che incontriamo  contro la nostra realizzazione un nemico da eliminare. “Mors tua, vita mea”, dicevano gli antichi latini. Nell’Antico Testamento  il profeta Giosuè era un guerriero che combatteva ed uccideva i nemici   in nome di Dio. La guerra è sempre stata l’unica soluzione per i conflitti. Ma oggi le guerre di religione sono soltanto un pretesto per giustificare importanti interessi economici. Si dice che negli ultimi tempi il potere economico abbia superato quello politico, e che le guerre sono voluti dai ricchi   che mandano a morire i figli dei poveri. Ma ci vuole più coraggio a combattere e a fare la guerra, oppure a credere in Cristo, che nel Nuovo Testamento ha detto: “Io ho vinto il mondo”. Dobbiamo imparare la nostra violenza,le fantasie presenti nella nostro cuore e nella nostra mente, giungendo alla conclusione che la non-violenza è la migliore forma di lotta. Dobbiamo   imparare a convogliare le nostre energie contro le grandi minacce alla vita: la fame, la distruzione dell’ambiente, il razzismo ed il materialismo che detta la legge del profitto. Nella lotta contro il male un ruolo essenziale lo riveste l’informazione. Purtroppo oggi i media sono manipolati da chi detiene  il  potere, soprattutto quello economico, allo scopo di raggiungere determinati obiettivi protesi a soddisfare precisi interessi. L’ informazione spesso non è corretta, se non addirittura falsata, occultando notizie  “scomode”. Ci sono alcune citazioni “ad hoc” di personaggi autorevoli: “Chi tace e piega la testa muore ogni volta che lo fa. Chi parla e cammina a testa alta muore una volta sola” (Giovanni Falcone). “Nessuno è più odiato di chi dice la verità” (Platone). “Gli uomini privi di coraggio non issano mai il trofeo della vittoria” (Platone). “La criminalità non si combatte soltanto con i carabinieri. La gente deve sapere i fatti, quello che un giornalista deve fare è informare” (Giancarlo Siani). “Il vero giornalismo dovrebbe essere quello che rende pubblico ciò che il potere vuole  resti segreto. Ecco perché oggi, salvo rare e preziose eccezioni, non c’è vero giornalismo. Solo cani da guardia, con guinzaglio più o meno lungo” (Diego Fusaro).

Benevento, 30 ottobre 2022                ​Vincenzo Maio (cell. 347-3173288)  

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