Il voto del PD in Campania, una sconfitta di Palazzo Santa Lucia

 

  Nella recente consultazione elettorale politica, il Partito Democratico del Sannio si è posizionato al quarto posto, in termini di percentuali conseguite, sia nella città di Benevento che in Provincia,  rispetto alle altre forze politiche. Parliamo di confronto tra percentuali, poiché, dal momento che varia sempre l’afflusso ai seggi, è impossibile fare un confronto tra i voti da una consultazione all’altra,  sia nell’ambito di uno stesso partito che tra i diversi partiti.

     Per la elezione della Camera dei Deputati (per il Senato non vi sono variazioni), nella città di Benevento, il Pd ha conquistato il 12, 55%, posizionandosi dietro il M5S (23,9%), Noi di Centro(23%) e Fratelli d’Italia (16,5%); nella provincia ha conquistato il 13,2% (2 punti al di sotto della percentuale conseguita nelle politiche del 2018), posizionandosi dietro al M5S (22,15%), a Fratelli d’Italia  (19,48%) e a Noi di Centro (14,41%).

     Nelle elezioni comunali di Benevento del 3 e 4 ottobre 2021, il Pd, con il 14,27%, si attestò come primo partito. E come primo partito si attestò, in provincia, anche nelle regionali del 21 e 22 settembre 2020, conseguendo il 14,3%, nonostante il 9%, conquistato dalla lista De Luca Presidente guidata dal demRaffaele Del Vecchio, che sottrasse voti al Pd,  e nonostante la candidatura, in altre liste collegate a Vincenzo De Luca, di esponenti di rilievi del Pd avesse pure sottratto voti al Partito in misura notevole 

     Ma sia la lista guidata da Del Vecchio che quelle in cui erano candidati i suddetti esponenti di rilievo avevano il fine, nel disegno di De Luca, di depotenziare  la lista del Pd, in cui erano candidati Erasmo Mortaruolo e Antonella Pepe, per impedire che scattasse il seggio in favore di Mortaruolo,  cioè di quel consigliere regionale che, riconfermato, era stato sempre allineato a De Luca, nel corso del primo mandato, insieme al Pd sannita, se si eccettua un documento che la federazione dem di Benevento aveva approvato nell’estate del 2018 per invitare la Regione a non trattenere più oltre i fondi che il CIPE, su pressione di Del Basso De Caro quale rappresentante del MIT nella suddetta struttura interministeriale, aveva erogato per la realizzazione di importanti infrastrutture nel Sannio, a parte i fondi da lui fatti stanziare dal MIT per la realizzazione di altre infrastrutture nella provincia di Benevento. E Mortaruolo è rimasto, purtroppo, allineato a De Luca anche nel corso dell’attuale mandato, dopo che De Luca ha  calcato la mano, in preparazione delle recenti elezioni politiche, per fare uscire dalla competizione  ancora più depotenziato il Pd a Benevento, la cui federazione è  l’unica in Campania non controllata dal governatore della Regione.

     Infatti, sancita la pace con il segretario nazionale del Pd, Enrico Letta, una pace culminata nell’incontro dell’11 agosto nel centro siderurgico di Taranto, Vincenzo De Luca autorizza Letta di porre in essere la più grande esportazione di candidati in Campania in danno anche di parlamentari uscenti, chiedendo però la testa di Tizio, Caio, Sempronio, Mevio ed altri.

     Il risultato di questo accordo, parlando dei fatti di casa nostra, è stato quello di dare al deputato uscente Umberto Del Basso De Caro una candidatura di copertura nel collegio uninominale per il Senato nel collegio Benevento-Avellino, senza offrirgli, benché richiesta dalla federazione di Benevento, una candidatura utile.

     Tale collegio senatoriale, nel quale si è immolato Carlo Iannace dopo la rinuncia di Del Basso De Caro, era, e si è rivelato, di copertura, non avendo Letta costituito il cosiddetto campo largo, alla cui realizzazione egli aveva lavorato sin dal 14 marzo 2021, quando divenne segretario del Partito Democratico.   

    Eppure, tra Pd e M5S, si lavorava gomito a gomito, nel Parlamento e nel Paese. La caduta del governo Draghi, provocata da Giuseppe Conte sul non voto  al decreto aiuti, un non voto che sarà poi condiviso anche da Lega e Forza Italia, per provocare la caduta del governo e andare alle elezioni,  ha però sancito la fine di quel cammino comune tra Pd e M5S.

     Ma, mentre nel centro destra si è realizzata una  coalizione più elettorale che politica, sui punti che univano Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia e non su quelli che li dividevano (infatti, Fratelli d’Italia, oltre ad essere una formazione neo fascista, era all’opposizione del governo che Lega e Forza Italia sostenevano),  Letta non ha perdonato a Conte la responsabilità di aver fatto cadere Draghi.

     Tutto questo avviene tra il 20 e il 21 luglio, quando Fratelli d’Italia ha già una percentuale, attribuita dai sondaggi, superiore al 20%, cui si sarebbe aggiunta la percentuale, migliorata di poco dalle urne, di Forza Italia, e quella della Lega, uscita molto dimezzata dalle urne.

     Questi sondaggi, confermati dal responso elettorale, almeno per quanto riguarda Fratelli d’Italia e Forza Italia, avrebbero  dovuto indurre Enrico Letta a mettere da parte la responsabilità di Conte nell’aver fatto cadere il governo Draghi e a fare subito l’accordo con il M5S, dando per acquisite le adesioni di Sinistra italiana, di Più Europa e di Impegno Civico.

 Quest’ultima formazione, ridotta a uno 0,5% dagli elettori, era stata costituita  da quel tizio che, uscito dal M5S insieme ad altri 60 parlamentari, tra deputati e senatori, per garantirsi la terza candidatura, all’atto della costituzione, nel settembre 2019, del governo Conte2, sostenuto anche da Pd e Leu, impose a Zingaretti: o la riduzione del numero dei deputati e dei senatori o la non costituzione del governo. Un aut-aut che Zingaretti, dimostratosi debole rispetto a un politico di molto bassa caratura, accettò in direzione della riduzione dei parlamentari, per evitare le elezioni anticipate, elezioni che avrebbero portato, allora, Salvinia Palazzo Chigi. Ma il fondatore di Impegno Civico è lo stesso tizio che, dopo la montatura delle opposizioni sul caso di Bibbianoin previsione delle elezioni regionali in Emilia Romagna, disse: “Mai col Pd che fa l’elettroshock ai bambini”. Si dà il caso, a conferma della montatura, che quel Comune, alle regionali del gennaio 2020, diede la maggioranza dei voti al Pd, il partito del sindaco ritenuto complice, in un primo momento, dalla magistratura.

  Letta, però, se avesse fatto l’accordo con i Cinque Stelle, avrebbe dovuto tenere fuori dall’accordo medesimo Calenda, nemico giurato della formazione di Conte, al punto che non condivise la formazione del governo Conte 2, per il semplice fatto che il Pd si era alleato a Cinque Stelle per dare vita alla nuova maggioranza. Ovviamente, a nostro avviso, il non aver voluto quell’alleanza era solo il pretesto per abbandonare il Pd, alla cui Direzione Nazionale si era iscritto scavalcando tutti i passaggi per arrivare a far parte di tale organismo.  I fatti, poi, si sono incaricati di dimostrare che egli ha fondato “Azione”, dopo aver lasciato Pd, in nome del quale aveva accettato, a nostro avviso con la riserva mentale, di guidare la lista del Pd nel Nord-Est per le elezioni europee, ben sapendo che per fondare un partito avrebbe dovuto avere almeno una carica di parlamentare..

  Tuttavia, Letta ha tentato di fare un accordo con Calenda, pur di fare a meno dei Cinque Stelle, la cui alleanza, parlando con il senno del poi, si sarebbe portata sul 42%, e con uno slancio maggiore, soprattutto se il segretario del Pd avesse accantonato la riforma del reddito di cittadinanza, avrebbe superato la percentuale del destra centro, un 43,79% che, considerato una affluenza alle urne di appena il 63,90%,  si riduce al 28% rispetto alla totalità degli elettori.

  Ma anche se non fosse avvenuto il sorpasso, questa alleanza si sarebbe attribuiti tutti, o quasi, i collegi uninominali del centro-sud, per ottenere una maggioranza nei due rami del Parlamento, considerato che la maggioranza di destra centro ha 235 deputati su 400 e 112 senatori su 200. 

   Ma l’alleanza con Calenda, venuta meno due giorni dopo essere stata stipulata, non sarebbe stata contendibile nei confronti del centro destra, anche senza parlare con il senno del poi. Si deve dedurre che Letta abbia portato il Pd ad una sconfitta annunciata. I candidati esportati in Campania sono stati però tutti eletti. Vincenzo De Luca, ridimensionato nel Salernitano, è riuscito soltanto a realizzare la rielezione del figlio Piero e di Stefano Graziano, il candidato di Aversa nel collegio plurinominale per la Camera di Benevento-Caserta finito sotto inchiesta alcuni anni faperché persone poco affidabili, per usare un eufemismo, avevano organizzato, stanti le intercettazioni telefoniche, il voto in suo favore. Tuttavia, alla guida della lista del Pd in tale collegio è stato preferito Graziano alla Ianaro, anche perché il deluchiano era uscito indenne da quella inchiesta.

  Non coronata da successo è però stata la candidatura di Antonella Pepe nel collegio uninominale per la Camera Benevento-alto Casertano, una candidatura, questa, calata dall’alto, non si sa se dagli ambienti del Nazareno o da quelli di Palazzo Santa Lucia. Infatti, la presidente del Pd, posizionatasi al terzo posto, dietro il candidato di destra centro, Francesco Rubano, risultato eletto, e la candidata dei Cinque Stelle, Sabrina Ricciardi,  era stata candidata al posto di Angelo Moretti, il consigliere comunale di Benevento di Civico 22, che l’assemblea provinciale del Pd, unitamente ai segretari di circolo, il primo di agosto, all’unanimità, aveva proposto, insieme ad altre candidature, alla ratifica degli organi centrali del Partito, anche se il consigliere regionale Mortaruolo, nel corso della conferenza stampa tenuta da Antonella Pepe nel bar di Palazzo Paolo V il 27 settembre, ha detto di non sapere come sia nata la candidatura di Moretti.

   

La candidatura di Moretti avrebbe portato al Pd, almeno nella città di Benevento, dai 3.000 ai 4.000 voti facendogli conservare la posizione del partito più votato. Se, poi, ci fosse stata la candidatura di Del Basso De Caro al posto della ex segretaria nazionale della CGIL, Susanna Camusso, catapultata in Campania da Sesto San Giovanni, poiché la candidatura del deluchianoGraziano in posizione di eleggibilità nel collegio Benevento-Caserta sarebbe stata inamovibile, il Pd avrebbe superato di gran lunga i Cinque Stelle, che hanno beneficiato, a Benevento e in Italia, del voto dei fruitori, e dei rispettivi familiari, del reddito di cittadinanza, messo in pericolo da Giorgia Meloni.

    Indubbiamente, il M5S, per aver assicurato questa garanzia, ha risalito di molto la china rispetto alla quotazione dei sondaggi, ma ha, innegabilmente, più che dimezzato la percentuale conseguita nel 2018, così come l’hanno dimezzata Forza Italia e Lega. 

    Il Pd, invece, che ha confermato la molto deludente percentuale conseguita, sotto la guida di Matteo Renzi, nel 2018, perdendo un 3,5% rispetto alla percentuale alle europee del 2019, sotto la guida di Zingaretti, è stato dato per il maggiore sconfitto in questa competizione.

     Certamente, la sconfitta c’è stata, ed il responsabile è Enrico Letta, ma non nella dimensione di quella dei Cinque Stelle, della Lega e di Forza Italia. Queste ultime due formazioni possono mettere da parte la sconfitta, che tuttavia non si è rapportata graziealla legge elettorale in eguale misura sui gruppi parlamentari, in quanto faranno parte di un governo guidato da Giorgia Meloni, una donna che si è trovata tra le mani, a nostro avviso, un giocattolo non della sua portata.

      Ma, poiché la destra economica, nella Seconda Repubblica, non ha ancora trovato una casa stabile (nella prima Repubblica l’aveva nella Dc e sopportava anche le scelte di sinistra di questo partito), è molto probabile che  alle prossime europee Fratelli d’Italia non confermi il 26% ottenuto ora.

      Nella Seconda Repubblica, la destra economica aveva trovato una casa in Forza Italia, e vi è rimasta per più di 15 anni, anche dopo la costituzione del Popolo delle libertà. Poi, nel 2018, una piccola parte è rimasta in Forza Italia e una buona parte è confluita nella Lega. I Cinque Stelle, allora, siccome hanno raccolto la protesta, i vaffa al sistema politico e le aspettative del reddito di cittadinanza, dalla destra economica avranno preso poco o niente.

      Nelle europee del 2019, però, la destra si riversò in gran parte nella Lega, che ottenne il 34%, arrivando successivamente, nel sondaggio, anche al 36%. Poi, un po’ alla volta,  ha abbandonato la Lega, riversandosi in Fratelli d’Italia, erede del MSI, prima, e di AN, poi, partiti nei quali abitava stabilmente la destra politica, che ora si trova nel partito della Meloni insieme alla destra economica.

       Riuscirà Fratelli d’Italia a confermare, fra un anno e mezzo, alle europee, il 26% ottenuto ora? Ci crediamo poco, anzi per niente. Però, un dato è certo: la destra economica gira sempre, come abbiamo dimostrato, fra i partiti di destra.

       Così come era avvenuto per i Cinque Stelle nel 2018, anche per Fratelli d’Italia, il fenomeno del 2022, gli elettori hanno votato il simbolo, infischiandosi di giudicare i candidati. Se avessero voluto esprimere un giudizio sui candidati, difficilmente gli elettori del collegio di Sesto San Giovanni, pur considerando che questo comune non è più la Stalingrado di una volta, avrebbero dato il 47% dei voti a Isabella Rauti, figlia di Pino Rauti, il fascista della Decima MAS della repubblica di Salò, indagato, insieme a Freda e Ventura nella strage di Piazza Fontana a Milanoavvenuta nel dicembre del 1969. Rauti venne poi prosciolto, perché il giorno successivo a quello in cui egli sarebbe andato a Verona, Il Tempo, il giornale nel quale il fascista della decima MAS lavorava, aveva pubblicato un suo articolo, per scrivere il quale, il giorno precedente, non avrebbe avuto il tempo per prendere il treno.

      Eppure, a Isabella Rauti si contrapponeva, nella coalizione di centro sinistra, Emanuele  Fiano, figlio di un deportato adAuschwitz. Insomma, gli elettori di quel collegio della provincia di Milano, la città simbolo e sintesi della Resistenza,  costretti a scegliere tra la figlia di un fascista e il figlio di un deportato ad Auschwitz, hanno scelto la figlia del fascista.

     La cosa non deve meravigliare. Nel maggio 2006, nelle elezioni regionali siciliane, Rita Borsellino, si posizionò di 12 punti al di sotto del 53,08% conseguito da Totò Cuffaro, già inquisito per collusione con la mafia. Anche in quel caso, gli elettori siciliani, costretti a scegliere tra mafia e antimafia, scelsero la mafia.

     E si dà il caso che Totò Cuffano e altri personaggi in odore di mafia facevano parte dell’Udc di  Pierferdinando Casini. Ma Casini, sempre schierato con il centro destra di Berlusconi, difronte all’estinzione del suo partito, trova ospitalità nel Pd, nel 2018 e anche ora che Letta con la riduzione del numero  dei parlamentari avrebbe dovuto dare più spazio ai militanti dem, per una candidatura in un collegio di Bologna, senza però essere allineato  al Pd, così come avveniva con Emma Bonino e così come è avvenuto con Carlo Calenda.

     Letta e Palazzo Santa Lucia, in controtendenza, hanno però ritenuto che a Benevento il Pd non doveva ospitare la candidatura di Angelo Moretti, considerato poi che Moretti, essendo a capo di una formazione civica, avrebbe potuto essere anche organico al Pd, quel Pd che ora si accingerebbe ad inaugurare un nuovo corso sotto la guida di Antonella Pepe e di Erasmo Mortaruolo.

    Ma questo nuovo corso, annunciato da Antonella Pepe in una conferenza stampa non tenuta nella sede del Partito, perché convocata da lei personalmente, per prendere corpo dovrebbepassare su molti cadaveri. Dovrebbe avere dalla sua parte la maggioranza dell’assemblea provinciale del partito, eletta nel congresso tenuto a Molinara nello scorso mese di febbraio,  il neosegretario provinciale, non presente alla conferenza, i consiglieri comunali e provinciali di Benevento.

     Se si pensa che il capogruppo del Pd alla Provincia, Giuseppe Antonio Ruggiero, sindaco di Foiano in Valfortore, ha chiesto le sue dimissioni da presidente del Partito di Antonella Pepe, non sembra abbia un buon viatico questo nuovo corso. Che poi lei abbia detto che avrebbe presentato le sue dimissioni dopo quelle di altri, che non hanno, a nostro avviso, alcuna responsabilità nell’arretramento elettorale subito dal partito, è stato solo un modo per conservare la presidenza del Partito.

Giuseppe Di Gioia

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