Il mistero pasquale rivive in due vittime sacrificali: Padre Pio e Aldo Moro


Il Mistero Pasquale è un dramma di infinito amore dai quattro tempi: passione e morte di Gesù, resurrezione di Gesù, ascensione al cielo del corpo glorificato del Signore e invio dello Spirito Santo su ogni carne e sul mondo intero a Pentecoste. Sono già passati quattordici anni da quando, il 30 aprile 2008, presso la Basilica della Madonna delle Grazie organizzammo un incontro commemorativo su Aldo Moro a trent’anni dalla morte. Offrirono la loro testimonianza Agnese Moro, figlia dello statista e il senatore Davide Nava. Il 15 maggio 1968, quattro mesi prima di morire, Padre Pio incontrò per l’ultima volta a San Giovanni Rotondo l’onorevole Aldo Moro. Il sorriso tenero e accogliente dello stimmatizzato sannita e la gioia profonda del presidente Moro furono immortalati da una significativa fotografia di Elìa Stelluto. Ricorrono quest’anno il 44° della morte di Moro ed il 54° di quella di Padre Pio. Il frate cappuccino è stato prescelto da Dio per una grande missione: essere vittima con la Grande Vittima del Golgota, essere crocifisso senza croce per il dono delle stimmate ed anche per l’incomprensione dei superiori religiosi ed ecclesiastici. La morte drammatica di Aldo Moro avvenne invece per la mano violenta delle Brigate Rosse e per la paura del Governo italiano e della Democrazia cristiana che dopo 55 giorni di straziante prigionia anteposero la ragion di Stato al primato della dignità della persona umana. A nulla valsero le lacrime e le suppliche del grande amico dello statista il Papa Paolo VI. Era il 9 maggio 1978 e Padre Pio era morto già da dieci anni. A distanza di 13 giorni, il 22 maggio 1978, la rappresentanza politica parlamentare che aveva abbandonato per pusillanimità Aldo Moro come vittima innocente nelle mani dei brigatisti, decretò con la legge 194 la strage dei nascituri attraverso l’abominevole delitto dell’aborto che ora conta oltre un miliardo di vittime innocenti. Il disegno della Provvidenza e l’opera di Satana si sono scontrati in un prodigioso duello ed il sangue degli innocenti grida ancora vendetta al cospetto di Dio. Padre Pio e Aldo Moro insieme ai tanti bambini abortiti sono vittime sacrificali dell’egoismo dell’uomo che, senza Dio nel cuore, diventa lupo per l’altro uomo. La guerra in Ucraina dimostra ampiamente l’inaudita ferocia di chi non è più capace di vedere l’immagine di Dio nel fratello. L’ex presidente della Democrazia Cristiana nasce il 23 settembre 1916 a Maglie, in provincia di Lecce. Dopo aver conseguito la maturità classica al Liceo “Archita” di Taranto si iscrive a Giurisprudenza presso l’Università di Bari, conseguendo la laurea con una tesi su “La capacità giuridica penale”. Negli anni universitari è eletto Presidente nazionale della FUCI della quale è Assistente nazionale don Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. Dopo qualche anno di carriera accademica, fonda con alcuni amici intellettuali nel 1943, a Bari, il periodico “La Rassegna” che uscirà fino al 1945, anno nel quale sposa Eleonora Chiavarelli, con la quale avrà quattro figli. In quello stesso periodo, diventa Presidente del Movimento Laureati dell’Azione Cattolica, ed è direttore della rivista “Studium” di cui sarà assiduo collaboratore, impegnandosi a sensibilizzare i giovani laureati all’impegno politico. Nel 1946 viene eletto all’Assemblea Costituente ed entra a far parte della Commissione dei “75” incaricata di redigere il testo costituzionale. E’ anche vicepresidente del gruppo Dc all’Assemblea. Nelle elezioni del 18 aprile 1948 viene eletto deputato al Parlamento nella circoscrizione Bari-Foggia. Diventato Professore ordinario di Diritto Penale all’Università di Bari, nel 1953 viene rieletto al Parlamento diventando Presidente del gruppo parlamentare Dc alla Camera dei Deputati e nel 1955 ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Segni. Nel 1957 ministro della Pubblica Istruzione nel governo Zoli. Si deve a lui l’introduzione dell’educazione civica nelle scuole. Rieletto alla Camera dei Deputati nel 1958, è ancora ministro della Pubblica Istruzione nel secondo governo Fanfani. Il 1959 è un anno importantissimo per Aldo Moro. Si svolge infatti quel VII Congresso della Democrazia Cristiana che lo vedrà trionfatore, tanto che gli viene affidata la Segreteria del Partito, incarico riconfermatogli nel tempo e che manterrà fino al gennaio del 1964. Ma un altro anno assai importante, anche alla luce della tragica vicenda che colpirà il politico doroteo, è il 1963 quando, rieletto alla Camera, è chiamato a costituire il primo governo organico di centro-sinistra, rimanendo continuamente in carica come Presidente del Consiglio fino al giugno del 1968, alla guida di tre successivi ministeri di coalizione con il Partito socialista. Ritorna in seguito alla presidenza del Consiglio formando il suo IV governo che dura sino al gennaio 1976. Nel luglio del 1976 viene eletto Presidente del Consiglio nazionale della Dc. Il 16 marzo 1978, il tragico epilogo della vita dello sfortunato politico. Un commando di Brigate Rosse irrompe nella romana via Fani, dove in quel momento transitava Moro allo scopo di recarsi in Parlamento per partecipare al dibattito sulla fiducia del quarto governo Andreotti, e massacra i cinque uomini di scorta e rapisce lo statista. Poco dopo, le Brigate Rosse rivendicano l’azione con una telefonata all’Ansa. Tutto il Paese percepisce chiaramente che quell’attentato è un attacco al cuore dello Stato e alle istituzioni democratiche che Moro rappresentava. Il 18 marzo una telefonata al ”Messaggero” fa trovare il ”Comunicato n.1” delle BR, che contiene la foto di Aldo Moro e annuncia l’inizio del suo ”processo” mentre, solo il giorno dopo, Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro. Altri messaggi del Pontefice seguiranno il 2 e il 22 aprile. I servizi segreti di tutto il mondo, anche se le segnalazioni furono tante e precise, non riuscirono a trovare la prigione dei terroristi, ribattezzata “prigione del popolo”, e da cui Moro invocava incessantemente, tramite numerose lettere, una trattativa. Il 9 maggio, dopo cinquantacinque giorni di prigionia ed estenuanti trattative con gli esponenti dello Stato di allora, anche lo statista viene barbaramente assassinato dalle BR, ormai convinte che quella sia l’unica strada coerente da intraprendere. La sua prigionia aveva provocato ampi dibattiti fra coloro che erano disposti a cedere alle richieste dei brigatisti e chi invece era nettamente contrario per non legittimarli, dibattito che lacerò letteralmente il paese sul piano sia politico che morale. A tale rovente clima dialettico pose fine la drammatica telefonata degli aguzzini di Moro, i quali resero noto direttamente ad un alto esponente politico che il corpo di Moro poteva essere rinvenuto cadavere nel bagagliaio di un’auto in via Caetani, emblematicamente a metà strada tra Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana, e via delle Botteghe Oscure, sede storica del Partito Comunista Italiano. Secondo le ricostruzioni, ancora frammentarie, malgrado i molti anni trascorsi, lo statista sarebbe stato ucciso dal brigatista Moretti nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti appunto come ”prigione del popolo”. L’eccidio di via Fani fu conosciuto in anticipo da Padre Pio. E’ noto che l’uomo politico pugliese era un ammiratore e frequentatore di Padre Pio e fra l’altro era nato il 23 settembre che poi sarà il dies natalis di Padre Pio. C’era dunque un legame personale tra i due. Padre Pio intravide in due episodi il fatto di sangue nel destino del politico cattolico. Uno sembra risalire agli anni Cinquanta: si racconta che il Padre si sia fermato di colpo per il corridoio dicendo due volte ad alta voce: “Moro moore… Moro moore…”. Poi stette come sconvolto tutto il giorno e con gli occhi era come se vedesse le immagini di un film, come riferiscono i suoi collaboratori. Un altro episodio risale al tempo del primo governo Moro (dicembre 1963 – luglio 1964). Accadde davanti a due persone. Padre Pio aveva di fronte a sé un giornale. C’era lì pubblicata la foto di Moro e a un certo punto, guardandola, il Padre si sarebbe portato le mani agli occhi dicendo: “Mamma mia, quanto sangue! Quanto sangue!”. Negli atti del processo di beatificazione c’è una testimonianza di Mario Frisotti dove si dice che il Padre preavvertì “un eminente uomo politico della Dc” di fatti negativi che sarebbero accaduti. Abbiamo già detto che lo statista cattolico andò a fargli visita a San Giovanni Rotondo il 15 maggio 1968 mentre era presidente del Consiglio, dieci anni prima della tragedia. Lo statista stava completando il giro elettorale in Puglia e il giornalista Peppino Giacovazzo che faceva parte del suo staff gli organizzò anche la visita a San Giovanni Rotondo. Difficile dire cosa si siano detti. Può darsi che abbiano parlato anche di politica e dell’idea chiara di Padre Pio che riteneva che il partito dei cattolici non dovesse avere a che fare con i comunisti. Un altro evento che lega Moro e Padre Pio risale, seppur indirettamente, all’aprile 1965. Il sabato santo del 1965 Padre Pio ha un collasso ed inizia, da quel momento, la lunga agonia del Padre che durerà tre anni e mezzo, fino al trapasso. Preoccupati delle condizioni del frate i medici di Casa Sollievo della Sofferenza chiamano a consulto il prof. Cassano di Roma. Il celebre clinico sta rientrando dagli Stati Uniti d’America, ove ha seguito, come medico di fiducia, il presidente del Consiglio Italiano, Aldo Moro. Il Ministero dell’Aeronautica Militare gli pone subito a disposizione un aereo per condurlo all’aeroporto dell’Amendola di Foggia, da dove, in auto, raggiungerà San Giovanni Rotondo. E’ la sera del 29 aprile: sono ad attenderlo altri medici. Con essi il prof. Cassano si dirige subito in convento. Ma tra lo sbigottimento di tutti gli si fa incontro un padre che gli dice: “Non si può visitare Padre Pio, perché il guardiano non vuole”. Il professore rimane in silenzio addolorato ma non offeso. Poi chiede il permesso di poter soltanto salutare il Padre. Entrato nella cella n. 1 “si inginocchia davanti al Padre e così rimane mentre parla con lui”. Durante il colloquio il Padre ripete per tre volte al professore che tanto lo venera: “Non posso farmi visitare da lei perché il guardiano non vuole”. Anche tra le testimonianze della causa di beatificazione di Luigina Sinapi (1916 – 1978), terziara francescana, che la Chiesa considera testimone della sofferenza offerta per il bene del prossimo, c’è un riferimento chiaro a un sogno fatto dalla Serva di Dio sulla tragica vicenda di Aldo Moro. Il confessore della Sinapi, padre Raffaele Prete, in particolare, racconta che quando il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse la Sinapi mise in relazione il rapimento con un sogno che aveva fatto quell’inverno e durante il quale aveva visto un nido di uccelli insanguinati e uno di questi aveva delle penne bianche, infatti lo statista assassinato aveva un ciuffo bianco sui capelli neri. Come non pensare anche al penultimo discorso pubblico che il Presidente della DC tenne proprio nel teatro “Massimo” di Benevento il 18 novembre 1977. Paolo VI afferma che “la politica è la forma più alta di esercizio della carità”. Soprattutto in questo momento storico è opportuno additare al mondo politico Aldo Moro, uomo buono, onesto, degno, innocente, profondamente cattolico, fedele e coerente nella sua missione al servizio della famiglia e della società. Risplendono in lui i tratti di un altro grande politico e statista cattolico che porta il suo stesso cognome: san Tommaso Moro (1478-1535), canonizzato da Pio XI nel 1935 e proclamato da Giovanni Paolo II il 31 ottobre 2000 patrono dei governanti e dei politici.

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