L’Eucarestia è la vita del credente

Il professor Antonio D’Elia, docente universitario di Letteratura italiana e tra i maggiori studiosi di Dante, interviene con un suo lungo scritto nel dibattito che ha investito e diviso in questi giorni, segnati dalle limitazioni imposte dalla lotta alla pandemia, il mondo della Chiesa.

La centralità dell’Eucarestia e il coinvolgimento del cristiano nella “fractio Panis” determina il cuore della vita del credente unitamente all’amore per il prossimo che proprio il pane eucaristico manducato elargisce quale dono massimamente condiviso tra gli appartenenti all’ “Ecclesia”. Da ciò nasce e matura concretamente il vivere del credente in Cristo per tramite della Chiesa. Un carissimo amico, intellettuale e scrittore di profondissimo respiro spirituale e culturale, ha voluto rivolgere alla mia riflessione l’ appassionante e profondo articolo che monsignor Mainolfi (“Il Mattino”, 5 aprile 2020) ha offerto proprio sulla necessità, in questo drammatico momento in cui il coronavirus ha deviato il normale processo esistentivo della persona, di non escludere il popolo di Dio dal sacro rito della Messa, come le norme, volute dal Governo, hanno di fatto imposto per lungo tempo. Alla riflessione interrogante di monsignor Mainolfi hanno aderito in molti, ma altri hanno suggerito revisionismi miopi di un vivere cristiano relegato nell’attuazione tutta pseudo-intimistica del processo formativo del credente. Così che, l’adesione-partecipazione del credente alla Messa sarebbe, per quest’ultimi, un’aggettivazione possibilitante e non necessitante soprattutto nella Pasqua da poco celebrata,  in cui il Sacrificio è l’attuazione concreta del disvelamento pratico della sconfitta della morte tramite la Resurrezione di Cristo. Il Quale permane nella storia corporalmente sotto le specie del pane e del vino: “L’eucarestia -scrive monsignor Mainolfi- supera lo spazio e vince il tempo permettendo al corpo del Risorto di essere presente in ogni punto della terra e rendendo il mistero pasquale contemporaneo a tutti i fedeli  lungo i secoli” . Il Sacrificio Eucaristico non può, pertanto, essere inteso unicamente quale farmaco morale per alleviare il superamento di una controversia di coscienza e ristabilire in modo ideologizzante i principi etici dell’immissione dell’ente in un credo staccato dalla vita. Tale discorso è stato prodotto da chi, non comprendendo che il Cristo si è dato carnalmente sulla Croce e si manifesta realmente nell’Eucarestia ogni volta che il Sacerdote invoca la Sua Presenza durante la consacrazione, ha ritenuto una semplice suggestione e, quindi, una modalità accessoria il partecipare dei fedeli all’Eucarestia, stigmatizzando le profonde e concrete riflessioni di monsignor Mainolfi, indicate quale esercizi da erudito ed, assieme,  designanti una presa di posizione squisitamente ideologica ai fini di una presunta (?) campagna in difesa di una teoria, che in sé sarebbe la roccaforte di una religione del rito, e solo questo. Ma la profonda peroratioesplicata con sottile sagacia sul dramma del non poter partecipare al Mistero del Cristo che si dona, da parte del prelato, apre ad un ulteriore interrogativo sulla qualità ontologica del credente: questi sarebbe tale nella visione tutta teoreticamente metafisica, di una metafisica da manuale, e non incarnata, appunto, nella Storia. Ci viene offerto, infatti, dai detrattori di monsignor Mainolfi una visione edulcorata del Cristianesimo da elargire nelle mondane vicende dell’esistere e relegata alla pietà popolareggiante (e non popolare) di riti connessi a pratiche pagane di partecipazione folklorica. La Messa sarebbe, pertanto, un buon passatempo, e solo questo, e i suoi benefici, tutti di fantasia, verrebbero elargiti solo nei momenti di opportuna codificazione di certe pratiche esplicate in determinate occasioni. Se si stacca, come si è fatto, l’esistere dal concreto sacrificio di Cristo, dal Suo martirio (testimonianza fattiva) perennemente attuato dal sacerdote e dai fedeli durante la Messa, non si può comprendere il cuore del messaggio evangelico: lo scandalo non è offerto da chi non crede, ma da chi si dice cristiano. Tesi (e già tale termine nobiliterebbe le riflessioni esplicate) avverse a monsignor Mainolfi, lucido testimone e partecipe assertore del Crisma con il quale è stato unto e per il quale ha donato fisicamente e spiritualmente la sua esistenza a Cristo,  pubblicate quali risposte sui giornali hanno tentato di estromettere il concreto modo di essere cristiano, che è, poi, l’unico modo di essere cristiano, suggerendo percorsi alternativi di vita cristiana nella deviazione tutta onanistica della versione dell’io in un “colloquiante” apparente dialogo, che in sé tradisce il martirio. Il quale è per sé stesso manifestazione concreta. La quale è resa pubblicamente dopo essere stata evidentemente vagliata nell’anima. In tal senso, coloro i quali, con faciloneria, asseriscono che basterebbe mettersi in contatto con Dio nella solitudine del cuore e ponendosi nel silenzio della propria stanza, citando non debitamente l’unico maestro, Cristo, moncano il discorso-azione evangelica, che vede il Cristo e i suoi discepoli operare nel mondo, ed Egli soffrire lungo le strade di Gerusalemme, dopo aver istituito l’Eucarestia e la Chiesa. Sarebbe, allora, un incitamento, tutto questo discorso, ad andare contro le disposizioni governative? No. Lo sappiamo tutti. E non cadremo noi nel facile gioco di superficiali contraddizioni. Ma occorre ricordare che il cristiano è in sé operativo per e nell’amore che dà. E tale amore è nello scambio non solo mistico, ma da esso parte concretandosi per mezzo dell’Eucarestia a chi ne ha bisogno: cioè all’uomo, che è in sé frale. Il “problema” vero, lo ribadiamo, è la non testimonianza di chi si dice cristiano. La doppia morale, che spesso viene invocata dai detrattori reali del cristianesimo, gli pseudo-cristiani, declinata ora al contrario, da quest’ultimi, non può imporsi per la fragilità per la quale in se stessa va franando: abbiamo assistito, infatti, alla decostruzione del ripetuto e vacuo: il cristiano nel momento di dramma si dovrebbe rifugiare nella clausura sicura e, per adempiere al compito di corretto cittadino, il cristiano dovrebbe flettere la responsabilità delle sue azioni su un asse di perbenismo mondano, tanto caro ai laici ammiccanti ai credenti solo nei momenti di attrazione su presunte idee pseudo-soociali, e imporre e anteporre alle “presunte ragioni di stato” una ragionevolezza, che supera la testimonianza-martirio. Tale discorso ci indurrebbe, dall’altra parte, a presentare il cristiano quale fondamentalista, che, incurante del pericolo, mette la comunità tutta, per soddisfare il puro gusto estetico-etico nell’appagamento intimistico, ad espletare un rito, e solo questo di facile ed indistinto affetto per l’altro. Tale luciferina eversione non promuove la realtà del Sacrificio che Cristo continuamente dona. Il Romano Pontefice, dimostrando che la Chiesa è concretamente un “ospedale da campo”, ha promosso con gesti fattivi  e l”uscita pratica dal Tempio” non solo quale promozione dell’io a relazionarsi verso l’altro, ma quale modo concreto di “verificarsi” perl’altro in Cristo. Ciò che distingue il Cristianesimo dalle ideologie-filosofie è la concretezza della Persona-Cristo-Dio: centro del Tutto. Fuori da questa esperienza totalizzante (e non totalitaristica), fuori dalla presa d’atto che “Cristo è Signore” in quanto fattosi servo e “carne di peccato”, la religione cristiana è ideologema. Pertanto, la riflessione profonda di monsignor Mainolfi offre la presa d’atto del sangue concretamente versato e del pane matericamente mangiato: il popolo di Dio non può essere estromesso non da un rito e da una pratica, che, per quanto importanti rimangono fenomenologie a se stanti se disancorati dalla modalità dell’invischiamento carneo che solo l’Eucarestia, in sé carne e sangue, danno, in quanto sono carne e sangue di Dio fattosi uomo. Piaga di tale non corretto intendere è la pseudo-cultura degli  pseudo-cattolici, che, protesi a relegare nell’apparente “correttezza” formale lo spirito del mondo con l’insegnamento di Cristo, giustificano l’ingiustificabile proponendo soluzioni oscene, poiché il rito al quale si riferiscono in vero non è da loro sentito quale promozione fattiva dell’umano, ma suggestione recuperata in momenti di “felice nostaligia” nel ricordo di infanzie agresti e lontane. Suggerite, quest’ultime, da immagini di donne e pochi giovani mossi da condizionamenti infantili, a loro avviso, e che, per recuperare l’unitività con un io compromesso col mondo, si darebbero a tale pratica. Gli pseudo-cristiani non hanno compreso nulla di Cristo e della sua Parola: essa si fa dall’Altare alla strada e non dalla scrivania al cervello-mente. La Transustanzazione non è un rito magico che allevia il dolore quale seduta psicoanalitica e neanche una escursione sentimentale, che ripercorre i moti del cuore nel mentre il soggetto va comparando alla storia del Cristo sofferente i proprio drammi: è, invero, l’ingestione attiva di una Storia irripetibile, che trasforma il dramma di tutti e di ciascuno nell’apparentamento concreto con quel Corpo e con quel Sangue offerti. Il Cristiano comprende se stesso e il mondo uniformandosi spiritualmente e corporalmente al Cristo che si dona. Se tutto ciò non fosse, tutto sarebbe forma e vuoto rituale: “nell’anima smarrita di noi credenti –scrive monsignor Mainolfi –ritorna la domanda di Gesù rivolta ai suoi discepoli in fuga dal Suo Amore: ‘Ma quando il Figlio del’uomo tornerà, troverà ancora la Fede sulla terra?’”.
Il richiamo alla tradizione, intesa in senso tutto attivo, della Chiesa, dei Padri, dei Testimoni, da parte di monsignor Mainolfi nel suo articolo, smuove le coscienze e promuove quanto molti Vescovi hanno inteso affermare proprio sulla necessità della partecipazione al Memoriale cristico. Non solo, di assai profonda incidenza sulla concretezza del vero risultano le parole dei protestanti e dello stesso Lutero, il quale mai avrebbe inficiato la corporeità dell’Eucarestia, come avvenne di contro la posizione spiritualistica, profondamente da lui contrastata, di Zwingli.
Papa Francesco ha sentito tale dramma e ha mosso alla concreta presa d’atto di una partecipazione non virturale, poiché la trama del vivere cristiano non è idea, ma pienezza esperienziale, spingendo dalla necessità del contatto fisico, e ben organizzato, del popolo con i pastori e dei pastori con il popolo. 
I detrattori di monsignor Mainolfi, strenuo assertore della vita concreta del Testimone, e, quindi, del Cristiano, non hanno compreso gli esempi di San Paolo, di Tommaso d’Aquino, di  Giovanni Palo II, di Madre Teresa di Calcutta, di Padre Pio, dei mistici, che hanno promosso l’attività evangelica nel soccorso all’altro, proprio partendo dal e nel partecipare prima al Mistero della Cena e poi da esso solcare le strade e i “lazzaretti” di sofferenza per poi ritornare a Cristo. Sono stati indebitamente scomodati, dai suddetti detrattori, poeti invocanti metafisicità, il cui odore-colore non è stato ben individuato dagli stessi inavvertiti evocatori, confondendo gli intimismi pur sublimi del cuore e i profondi percorsi altamente labirintici della mente, di elevato portato, con l’Evento che ingloba e supera ogni qualsivoglia genialità umana. L’unicità del Cristianesimo è il suo darsi, lo ripetiamo con forza, il darsi all’altro nell’oratio perenne quale giaculatoria continua a Dio mai disgiunta dal rapporto fattivo con l’Altro-altro, che nella Messa viene a codificarsi e a rendersi razionalmente credibile: questo è il fondo della questione, che è tutta racchiusa nel rapporto che l’Eucarestia consolida tra cuore e carne. Davide Rondoni sopraggiunge al dibattito in atto con la forza di un dire il cui fondamento risiede nell’aver compreso l’“oltrepassamento intellettualistico” del fare cristiano: la Messa è una realtà insostituibile da non barattare con ideologemi di sorta: è l’incontro veritiero con Dio che ci ha informato-amato-creato e la cui essenza permane in Cristo donantesi realmente. Se tutto ciò fosse compreso da chi si dice credente, lo stesso credente morirebbe all’istante avvedutosi della realtà di Dio: ma Dio non permette, per citare-parafrasare il Manzoni e i Padri della Chiesa, un male maggiore di ciò che l’uomo possa sopportare. È una prova anche questa della rinuncia forzata alla Manducazione del Corpo di Cristo, il quale, tuttavia, ci deve  rendere più ancora responsabili nel richiedere urgentemente la Sua presenza fisica in noi. 
Sono state date alle stampe modalità interpretative, anche in risposta alla sollecitazione di monsignor Mainolfi, concorrenti a strutturare la quarantena dell’anima senza Eucarestia sintetizzando impropriamente il tutto ad una  sorta di reductio ad unum oscena, plaudente l’unitività degli affetti attorno ad un desco quale rimedio temporaneo e in sostituzione del e al Sacrificio. Come se lo stare insieme, il sentirsi famiglia, la relazionalità costruita nel momento del dolore  o della gioia siano valori da esporre e vivere solo nel dramma dell’urgenza: per il cristiano è il contrario: la normalità di sentirsi famiglia umana dovrebbe appartenere all’ente nella procedura quotidiana del suo svolgersi. Ciò che caratterizza il cristiano  non è il sentimentalismo concesso nel sentirsi vicini nella prova o nella consuetudine di atti ripetuti ed intrisi di sensazionalistico appagamento redatto dal consolatorio “del già avvenuto”, ma la consapevolezza che la vita in se stessa, quale prova nel suo insieme dall’inizio alla fine,  è la prova, appunto, offerta che si concretizza continuamente nel rapporto, uguale e sempre nuovo (scandalo mirabile), fattosi sul desco eucaristico. Il nodo che monsignor Mainolfi ha contribuito a sciogliere è proprio questo: senza Eucarestia non esiste il messaggio Cristiano, poiché Cristo carnalmente è nella Particola: Lo è Fisicamente nel Calice. Tale sconvolgente verità è tale in se stessa, che, pur volendo, pseudo-filosofeggiare, essa è in se stessa Vera, poiché da se stessa dice il Vero, oltre ogni autenticità proveniente dall’esterno o da processi ideologici. Ed è compresa solo da chi si abbandona all’amore offerto sotto e per  un pezzo di pane.  Il Papa nel silenzio dei giorni quaresimali scorsi ha offerto con la Benedizione Eucaristica il segno concreto di tale Atto sconvolgente e irrinunciabile. E al termine di ogni celebrazione nella Cappella di Santa Marta ha benedetto e continua a benedire il popolo con l’Ostensorio. Tutta questa vicenda ci fa riflettere sulla impreparazione di molti che si dicono cristiani, e che, forse in buona fede (ma quale bontà può derivare da una fede da banchi e da manuali), non hanno colto il rapporto tra vita razionale e fisica e vita spirituale, concretezze per il cristiano esposte entro un unico giro tonale. Padre Dante ponendo al centro della propria contrizione la Croce e la Resurrezione guardava all’Eucarestia, “Pan degli Angeli”, quale manna concessa al pellegrino e ai pellegrini di tutti i tempi: unico sostentamento fisico, e in ciò occorre si comprenda l’espressione “figura”, nella realtà ontica e pratica del suo indiarsi, come fa il Sacerdote. E per tale processo il poeta ha raggiunto, dal Giovedì Santo, dall’Istituzione da parte di Cristo dell’Eucarestia e del Sacerdozio, e quindi della Chiesa, alla Resurrezione, la nuova riconciliazione tra Dio e l’uomo. Il Pane che mangiamo non è il ricordo di un evento, ma è l’Evento sempre facentesi nella mai ripetitività del Suo essere sacrificio-testimonianza: uscisse il Cristiano dalla Messa con tale consapevolezza sarebbe compiuto in Cristo. Tale è lo scopo dell’Incarnazione: un progredire pur nel peccato mediante Cristo, che si dona carnalmente verso l’apertura di un cuore non soggiacente al dubbio non generativo, del quale l’uomo è debitore, ma di quello meschino e degenerativo, che induce alla sconsideratezza del Memoriale di salvezza. Memoria non come ricordo ma “porre mente-cuore” a ciò che realmente avviene sull’altare e trasportarlo verso il prossimo.
Disgiungere l’Eucarestia dalla Resurrezione e dalla concreta efficacia della Parola è l’errore di superbia, che intellettualizzando il Mistero  ricovera quest’ultimo nella eversione di una mitologia pagana e incomprensibile: occorre, dunque, il continuo muoversi per andare, il ricevere in noi, nel nostro corpo il Sacramento di Salvezza offerto per tramite del Sacerdote al fedele. La Messa non può essere barattata in e da  funzioni relegate a scambi di riflessioni indistinte di umanesimo elargito per nobili sentimenti, ma la pienezza del Rito offre la lezione per l’operatività realmente umana di Dio, che si è fatto e si fa carne ogni giorno davanti al singolo immesso nella Comunità dei Credenti: Ecclesia: “Bisogna partecipare al banchetto –scrive mosignor Mainolfi” quale spinta propulsiva alla concreta visione dell’operabilità del cristiano, che è e deve essere martire, ripetiamo, e non spinto da fondamentalismi, ma vinto da Dio, che incarnandosi si fa mangiare per sfamare d’amore fisicamente e spiritualmente l’uomo. Gli Atti degli Apostoli danno testimonianza della Chiesa e del Memoriale cristico proprio partendo dalla fractio Panis: la Diadechè, la koinonè, la comunione fraterna: la comunità orante è in sé la comunità che si fa attorno all’altare per costruire il mondo quale grande mensa, concretamente e spiritualmente intesa, apparecchiata da Cristo, che è pane vivo. La testimonianza di sacerdoti quali monsignor Mainolfi espone la concreta visione di una missione non espressa dalle parole, ma inverata nella vita da quelle parole-esempi senza cui tutto sarebbe mistificazione ed inganno. Attorno all’esemplarità di tali testimonianze il martirio proprio della Chiesa trova nei Vescovi e soprattutto nel Successore di Pietro, del Vicario di Cristo in terra, l’adesione a tale irrinunciabile monito su cui la vita cristiana si fonda: “Non si può viralizzare la Chiesa, – così il Santo Padre papa Francesco- i sacramenti, il popolo” e se è vero che “per il momento occorre celebrare a distanza per uscire dal tunnel , non per rimanere così, perché la Chiesa è familiarità concreta con il popolo”. Irrinunciabile contatto tra carne-anima e corpo-ente: per questo l’uomo è sarx: è sacralità nella sua inscindibile totalità panificata concretamente da Cristo e lievitata perennemente nell’amore verso e con il prossimo.
Antonio D’Elia

2 pensieri riguardo “L’Eucarestia è la vita del credente

  • 18 Aprile 2020 in 21:26
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    Credo che da sempre Cristo essendo farmaco d’immortalità con le dovute precauzioni e attenzioni come in tutte le attività in ripresa possa realizzarsi la sana e Santa ripresa delle funzioni liturgiche !!

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  • 19 Aprile 2020 in 20:11
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    Nessuno s’aspettava di veder sospeso sine die il rito dell’Eucarestia, nemmeno in tempi di pestilenza era mai accaduto. E ci smarrisce non poco sapere che le chiese sono chiuse. Invece la Chiesa deve ritornare a radunare i fedeli per rivivere con loro il rituale dell’Eucarestia, un dono questo che La chiesa cattolica sin dai suoi albori continua a dare a tutti i suoi fedeli, un dono vero e proprio quello che ci offre, perché tra i cristiani dei primi secoli non fu così, l’atto della consacrazione del.pane e del vino era tenuto segreto, o evitavano di parlarne, oppure se lo facevano era sempre in termini velati e comprensibili solo agli iniziati. Invece la Chiesa Cattolica non ha mai smesso di offrire il pane della salvezza anche a coloro che iniziati non sono per dare loro la possibilità di entrare un giorno in intimità profonda con Gesu’, e scorgere il Cristo che e’ in noi e che risvegliato, potranno avere finalmente nuova vita e potersi così nutrire anche loro con le cose del cielo al quale tenderanno lo sguardo senza più stancarsi pur rimanendo con i piedi sulla terra. Perche tradire Gesù dopo duemila anni?
    Gesù stesso istituì l’Eucarestia nella sua ultima cena, quando disse: “Il pane che io darò è la mia carne, per la salvezza del mondo… Se non mangerete la carne del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,52ss). E ancora non fu sempre. lui a volerne alcune ore prima della Passione, l’istituzione vera e propria quando prese il pane ed il vino nel suo corpo e sangue e distribuendoli ai suoi apostoli disse loro di ripetere in avvenire quel rito in sua memoria? Da allora tutt’ora il sacerdote in persona Christi ripete le sue stesse parole “questo e’ il mio corpo”, “questo e’ il calice del mio sangue…” Un rito perpetuo che deve accompagnare il popolo di Dio lungo il cammino della sua evoluzione spirituale e quei credenti risvegliati nello spirito non sapranno piu fare a meno di VIVERE per sempre con Cristo per Cristo e in CRISTO, perché in Lui c’è la.nostra identità di figli di Dio. Quindi per il momento va bene pure la Comunione spirituale tra le pareti di casa nostra anche senza la manducazione dell’Ostia consacrata, ma lo Spirito Santificato ha bisogno del suo Nutrimento, quindi i fedeli hanno bisogno di ritornare nei santuari dove il Sacerdote in virtù delle parole pronunciate nella consacrazione del corpo e del sangue di Cristo.ci permette di viverne la transustanziazione dentro la nostra interiorità per sentirci fusi anche se non confusi con nostro Signore Gesù il Cristo. Amen e così sia.
    Angela Leonardi

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