Sconfitti in Emilia Romagna la demagogia e il razzismo di Salvini, nonostante il sostegno ossessivo dei media

Mi sono riservato di intervenire sulla vicenda Mastella, a bocce ferme, dopo che egli avrà rassegnato le dimissioni, salvo ripensamenti, ed avrà di conseguenza fatto decadere, con più di un anno di anticipo, il Consiglio comunale, a coronamento del fallimento della sua esperienza alla guida della città di Benevento, un fallimento dovuto all’essersi trovata contro la zavorra della politica cittadina, eletta in liste a lui collegate, e anche quella  raccattata  in liste a lui contrapposte.
Ora, però, non posso non manifestare la mia soddisfazione, non tanto perché Stefano Bonaccini sia stato confermato presidente della Regione Emilia Romagna e Matteo Salvini, non Lucia Borgonzoni, sia stato sconfitto, quanto perché sia finito il martellamento, in sostegno del capo della Lega, da parte dei Talk show de La 7, quelli che, per comodità di orari, seguo con assiduità, per confrontare le mie idee con quelle degli ospiti del Talk show.
A parte lo spessore della equilibrata Alessandra Sardoni, le altre conduttrici di Talk, animate evidentemente dal piacere, sempre più manifesto nell’avanzare della campagna elettorale, di veder cadere il governo giallorosso, hanno tirato la volata a Salvini, propinandoci quotidianamente, in modo ossessivo, in ogni loro puntata, con filmati, le sortite del capo della Lega, finalizzate a conquistare la regione rossa per poter dare quella che lui chiamava spallata all’attuale governo, nato dopo aver fatto cadere, con l’intento di andare ad elezioni anticipate, quello di cui lui faceva parte. 
Senza mai, quasi, farci vedere iniziative elettorali di Bonaccini se non quelle delle Sardine, il tutto avveniva, sin da quando tre mesi prima del 26 gennaio 2020 Salvini aveva avviato la campagna elettorale, con la presenza costante, fisica o collegata, in quei salotti televisivi, di direttori e vice direttori leghisti di giornali che sostenevano la coalizione guidata dalla Lega.
Sarà stato che la Lega, compatibilmente con le sue floride risorse finanziarie, abbia scelto spazi di maggiore  ascolto dei programmi della Rai perché venissero mandati in onda i suoi spot, ma la senatrice Sabrina ha dovuto presentare, insieme ai colleghi Maria Laura Paxia, Alberto Airola e Maria Laura Mantovani, non senza chiedere sanzione all’Agcom, una interrogazione alla commissione di Vigilanza dell’azienda pubblica, di cui fa parte, in quanto, nell’intervallo della seguitissima partita di Coppa Italia tra Juventus e Roma, è stata data anticipazione dell’intervista di Salvini, a pochi giorni dalle elezioni, in palese violazione della legge sulla par condicio.
Hanno speculato vergognosamente sul traffico dei bambini nella Val d’Enza, in provincia di Reggio Emilia, quando il sindaco di Bibbiano, accusato di abuso d’ufficio per aver messo un immobile comunale a disposizione della struttura che si occupava di affidi, e il locale Pd ignoravano il lavoro di sottrazione dei bambini dalle rispettive famiglie, posto in essere dalle assistenti sociali.
Dai voti conseguiti dalla Lega, in queste e in precedenti elezioni, si deve ritenere che non hanno influito gli scandali in cui è rimasto coinvolto Salvini, quando era ministro degli Interni del governo gialloverde. Dai 49 milioni  presi dalla Lega in modo illegale come finanziamento elettorale, alla mancata cresta in favore delle Lega di 65 milioni di euro sulla fornitura di gasolio russo all’Italia, di cui si sta occupando la Procura di Milano, al rapporto di affari sull’eolico di Paolo Arata (nominato da Salvini consulente per l’energia)  con Vito Nicastri, accusato di essere il prestanome di Matteo Messina Denaro, al coinvolgimento in questa operazione di Armando Siri, nominato all’uopo sottosegretario alle Infrastrutture dalla Lega, su indicazione di Paolo Arata, alla nomina di Federico Arata, figlio di Paolo, quale segretario del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo gialloverde, Giancarlo Giorgetti.  
Chi vota per la Lega è convinto che Salvini riduce notevolmente le tasse, però non si pone il problema di come Salvini reperisce le risorse per coprire le mancate entrate. Ma, al di là di questa trovata demagogica,  in gran parte votano per la Lega perché vedono in Salvini la persona che combatte l’immigrazione. Infatti, egli ha avuto la sola intuizione di scoprire l’anima razzista degli italiani, che è maggioranza, se si tiene conto che, al 30% della Lega si aggiunge il 10% di Fratelli d’Italia, la cui leader, Giorgia Meloni, sulla scia di come cresceva  la Lega, ha ritenuto anche lei una scelta efficace quella di cavalcare il razzismo, e se si tiene conto che un razzismo strisciante, anche se di minore entità, attraversa gli altri partiti.
Se Salvini avesse avuto capacità politiche, non avrebbe usato come una clava il caso di Bibbiano, il comune dove ha vinto il Pd, e non avrebbe fatto quella citofonata nel rione Pilastro, dove il Pd si è attestato sul 39%, la percentuale più alta rispetto a quella conseguita in tutto il Comune di Bologna. Una citofonata che, condannata da una leghista emiliana nel corso del talk show pomeridiano de La7 tre giorni prima delle elezioni,  poneva, tuttavia, a dire di questa leghista, il problema di come Bonaccini  non sia stato capace di combattere il fenomeno dello spaccio a Bologna e nella regione. Se la lotta allo spaccio della droga fosse in testa al governatore di una Regione, in Lombardia, la regione governata da sempre dalla Lega, non vi dovrebbe essere traffico di droga.  
Alla fine della fiera, sta di fatto che, da prima che iniziasse la  campagna elettorale in Emilia Romagna, tutti i sondaggisti davano, di 2-3 punti, Bonaccini in vantaggio sulla Borgonzoni. Eppure, i talk show de La 7 parlavano di testa a testa, nell’intento, a mio avviso, di incoraggiare i potenziali elettori della Lega ad andare a votare, e ad orientare il voto sul possibile vincitore delle elezioni, cioè Salvini, chi ancora non aveva fatto una scelta, considerato che, in seguito alla caduta delle ideologie, i media e i sondaggisti hanno questo potere. Addirittura, sul social, due giorni prima delle elezioni, mi è capitato di leggere un post di Libero.it: “Cooperative rosse in rivolta ad Imola, si prepara il trionfo della Borgonzoni”.
E, come se non bastasse tutto questo, la mattina del 27 gennaio, sempre in un talk show de La 7, è stato chiesto ad Alessandra Ghisleri come mai il sabato precedente era circolato, tra gli addetti ai lavori, un sondaggio che dava in vantaggio la Borgonzoni. La sondaggista di Berlusconi, dopo aver precisato che il sondaggio è l’espressione del momento, ha detto che il cambio di opinione, in favore di Bonaccini, sarebbe stato determinato dal taglio del cuneo fiscale e dall’impatto negativo della citofonata, avvenimenti, questi, precedenti all’effettuazione del sondaggio in questione. 
Ma, nel corso della maratona Mentana, a tarda sera del 26 gennaio, di fronte alla forbice degli exit poll, che dava in vantaggio Bonaccini di 3 punti sulla Borgonzoni,  non si è arreso neanche Franco Bechis, direttore del Il Tempo, il quotidiano che, insieme a La Verità, a Libero e a Il Giornale, ci ha fatto palpare, in campagna elettorale, la vittoria di Salvini. Bechis, infatti, ha osato dire: “i sondaggi non censiscono mai bene il centro destra”.
Poi, martedì scorso, nel corso della trasmissione di Floris su La 7, Giorgia Meloni, per sminuire la portata dell’insuccesso del centro destra in Emilia Romagna, ha detto pressappoco: Loro hanno conservato una regione che già governavano, noi invece ne abbiamo sottratto 8 a loro. E come se, nel calcio, una squadra che ha subito 8 goal, riesca a segnare il goal della bandiera.
Ma la signora Meloni, eletta (cioè nominata) deputata sempre con il Porcellum, non sa che, nelle elezioni regionali, se si eccettuano la Lombardia e il Veneto per il centro destra, e l’Emilia Romagna, la Toscana, le Marche e, prima ancora, l’Umbria, la Liguria e la Basilicata, per il centro sinistra, quasi mai una stessa maggioranza viene riconfermata. Massimo D’Alema, quando era presidente del consiglio, disse che se la coalizione dell’Ulivo, fatte salve le regioni rosse, avesse perduto le elezioni regionali del 2000, egli si sarebbe dimesso. La circostanza è stata evocata in campagna elettorale da Salvini, per dire a Conte di seguirne l’esempio, affinché si andasse alle urne. Ma, allora, dopo le dimissioni di D’Alema, la maggioranza dell’Ulivo, elesse il governo di Giuliano Amato, che portò a compimento la legislatura, nel 2001, quando le elezioni politiche di quell’anno segnarono la sconfitta del centro sinistra.
Però, nel 2005, Berlusconi, succeduto a Giuliano Amato nel 2001, di fronte alla sconfitta, nelle regionali, del centro destra, che riuscì a conservare solo la Lombardia e il Veneto, non imitò D’Alema. Anzi, disse che, nel 2006, avrebbe vinto le elezioni politiche. 
Infatti, nella sua azione di recupero elettorale, Berlusconi sforò il limite di Maastricht e dissipò l’avanzo primario, costringendo Romano Prodi, che gli successe nel 2006, a porre in essere un lieve, quanto impopolare, aumento dell’Irpef per i redditi superiori a 40.000 euro, al fine di rientrare nei limiti di Maastricht e di ripristinare l’avanzo primario. Ma quella di Prodi, nel 2006, fu una vittoria di Pirro, poiché il centro sinistra, partito con 15 punti di vantaggio sul centro destra, riuscì a vincere le elezioni con uno scarto di appena 24.000 voti, a causa anche del modo confusionario con cui avevano proposto il ripristino della tassa di successione, abrogata da Berlusconi.
La signora Meloni ha ritenuto di ricorrere a quella metafora pensando che gli italiani non ricordassero il modo come lei e Salvini avessero puntato sulla conquista dell’Emilia Romagna per far cadere il governo, costringendo Conte and company a dire, di fronte al pericolo, che appariva possibile, della sconfitta di Bonaccini, che il voto dell’Emilia Romagna non avrebbe influito sulla stabilità della maggioranza governativa.
Ma volete saper l’ultima? Vittorio Sgarbi, unico eletto di Forza Italia in tutta la regione (era candidato, infatti, nella circoscrizione di Bologna, dove è scattato il seggio, in quella di Parma e in quella della sua Ferrara), parlando di Bonaccini, in una trasmissione di Otto e Mezzo de La 7, quando non pensava di essere candidato,  si era augurato la riconferma di “questo bravo presidente”.
Si tratta dello stesso Sgarbi che, dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, aveva detto che Matteo Renzi rappresentava il 40%, la percentuale di Sì scaturita dalla consultazione referendaria. Evidentemente, non ricordava che, nelle elezioni politiche del 1987, il Pci ottenne il 26,57% e non  il 45%, la percentuale ottenuta dai Sì contro l’abrogazione della scala mobile, nel referendum tenutosi nel 1985, su iniziativa del Pci.
Ma guai a contestare le affermazioni di Sgarbi. Finisci di essere da lui paragonato a una capra, a un ignorante, a uno che deve studiare.
Giuseppe Di Gioia 

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